Tra rifiuti e tentennamenti cresce il malumore: ad ADL il compito di fare finalmente l'ultimo salto di qualità

Ma luglio, dicono, ci porterà fortuna...
30.06.2016 07:45 di  Jacopo Ottenga   vedi letture
Tra rifiuti e tentennamenti cresce il malumore: ad ADL il compito di fare finalmente l'ultimo salto di qualità
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© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

È passato più di un mese tra lunghi tentennamenti e rifiuti antipatici, il mercato stenta ad entrare nel vivo anche in virtù dei contemporanei appuntamenti continentali, ma tra dieci giorni Dimaro accoglierà i soliti noti. Come se non bastasse è arrivata un’altra doccia fredda, un fulmine a ciel sereno, perché il calciatore maggiormente rappresentativo, quello che si sperava di trattenere a vita orientando il mercato sugli altri reparti, ha manifestato l’intenzione di non voler rinnovare il proprio contratto, lasciando la società alle prese con una scelta estremamente difficile: vendere il Pipita ad un prezzo inferiore alla clausola, magari soddisfacente economicamente, ma incapace di assicurarsi un degno sostituto, o vincolarlo fino alla scadenza, sperando che nel frattempo in qualche parte del mondo nasca un nuovo Higuain ed accettando il rischio di perderlo tra due anni a parametro zero.

Sulla professionalità dell’argentino non nutriamo dubbi, non significherebbe trattenere con forza un giocatore contro voglia, nonostante abbia già infranto record strabilianti, il fascino della Champions ed i cori assordanti del San Paolo sapranno infatti motivarlo al meglio. Ci auguriamo piuttosto che le dichiarazioni del fratello ed agente di Higuain - anche se probabilmente non orientato esclusivamente all'aspetto progettuale - risuonino come un campanello d’allarme nella testa del presidente, un invito ad una maggiore elasticità e tempestività nelle trattative, che non porterebbero di certo ad uno snaturamento del modello societario, ma ad una normale e proficua crescita del club.

Tra tifosi delusi ed angosciati si profila dietro l’angolo lo spettro dell'ennesima occasione di crescita sfumata, perché al termine forse del suo miglior campionato di sempre, il Napoli si riscopre piccolo e poco appetibile, non per i mille colori e le mille paure di una città di cui spesso si parla in modo distorto, non per i famosi contratti da 120 pagine, non per i diritti di immagine troppo vincolanti, ma più realisticamente per lo scarso appeal del nostro calcio, probabilmente più povero e rigido degli altri, ma sottovalutato proprio come la sorprendente Italia operaia di Conte. Non bastano dunque la settima stagione consecutiva in Europa, l’affermazione dell’identità partenopea, il gioco spettacolare del mentore Sarri, il richiamo del mare e del San Paolo, nemmeno la momentanea svalutazione della sterlina riuscirà a far cambiare idea allo Zielinski di turno.

Probabilmente oggi staremmo a parlare di tutto un altro mercato se quel tiro di Zaza deviato da Albiol fosse finito alle stelle, se il derby di Torino avesse preso una piega diversa, se l’irripetibile ed inarrestabile cavalcata della Juventus fosse stata interrotta sul nascere.