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Da 0 a 10: Carlo chiama Ibra, lo scandalo Juve con le Tv mute, il gesto di Ciro che fa scoppiare in lacrime ed il boato al gol di Milik

di Arturo Minervini

(di Arturo Minervini) - Zero reti subite nelle ultime tre gare, tre reti nelle ultime otto dopo averne subite sette nelle prime due. I cambiamenti sono strani, non ti guardano in faccia con immediatezza. Per riconoscerli devi assimilarli, abituarti al loro profilo. C’è un’inversione di tendenza che ora non può più essere affidata alla casualità, diventa un fondamento sul quale poter elaborare teorie interessanti ed anche vincenti. Il Napoli si riscopre solido, concedendosi ancora qualche amnesie, ma appigliandosi alla forza di singoli che stanno iniziando anche a dialogare sulle stesse frequenze. Nessun tono trionfalistico, perché il lavoro da fare è ancora lungo, ma certi numeri bisogna raccontarli e devono confortare l’animo di chi ha la pessima abitudine del pessimismo. 

Uno l’abbraccio di Mertens ad Arek. Bello. Bellissimo. Avvolgente che solo a fermarsi un secondo a scavarne le emozioni che nasconde ti verrebbe da piangere per un’ora intera. Milik si sblocca ed è come un boato nella testa. L’avete sentito? Il rumore è stato assordante. È come liberarsi di un’armatura costruita dal tempo, un ammasso di ferraglia alimentato dalle polemiche, le critiche, le paure e le contraddizioni di un calcio che ti consuma quando ti infili in un momento buio. Leggero, finalmente leggero, in nuovi vestiti. Dentro una maglia che ora senti nuovamente tua. La prima gioia, poi il secondo guizzo che ha il sapore rigenerante di una rinascita. Per chi conosce bene il dolore che si prova cadendo, ha una duplice valenza. Bentornato Arek. In questo Napoli che vuole tornare a sentirsi grande c’è bisogno anche di Milik.

Due punti in più. La solita storia, il tempo che cancella, le frasi fatte sulla ‘fame, la cattiveria, lo stile Juve’ e quell’insopportabile ‘Bla, Bla, Bla’ che si trasforma in una retorica spicciola e stucchevole. Con il Bologna la squadra di Sarri porta a casa tre punti in maniera fraudolenta e come sempre tutto tace, come il vento che zittisce Paolo e Francesca in un girone infernale. Restano gli spifferi di chi prova a denunciare, di chi si indigna, di chi questo film lo ha già visto e non ha voglia di farsi fregare ancora. Nel MainStream, in quelli bravi, che muovono i soldoni, sono già pronti a seppellire, a mettere polvere e terriccio per coprire le tracce di un finale più scontato di un episodio della Signora in Giallo. C’è una sola differenza: in questo B-Movie assassino ed assassinato sono sempre gli stessi. Poi si torna a casa e si passano '100 colpi di spazzola prima di andare a dormire' per pulirsi la coscienza. 

Tre-Otto gli anni di Zlatan, eppure basta una frase, una mezza parola non detta ad accendere ed infiammare una fantasia strana, quasi perversa, sicuramente fuori dalla logica, per questo così tremendamente ammaliante come la protagonista femminile di un film di Almodovar. Onde sulle quali si appoggia un pensiero che forse fa a cazzotti con la ragione ma che infiamma la passione di chi nella mente ha le gesta eterne di un guerriero come pochi. Basta una frase di Ancelotti che sguscia tra le domande dei cronisti curiosi con un criptico ‘Chi può dirlo…”. Sognando Zlatan potrebbe essere una bizzarra ossessione delle prossime settimane, un’icona da tenere giusto in un angolino del desktop. Ma non chiudiamola del tutto…

Quattro come il quarto posto in campionato. Nel quadro complessivo restano punti persi che non si meritava di perdere e la solita sensazione di avere raccolto meno di quanto seminato. Presi dal panico, come Fabri Fibra in coppia con Neffa, qualcuno ha provato a raccontare una situazione disastrosa, una nave alla deriva ormai pronta ad ammainare la propria bandiera per essere vinta dal caos. Niente di più falso. Il Napoli resta coerente, con i propri difetti, le proprie imperfezioni ancora da sanare, ma con una qualità di fondo che se orientata nel verso giusto può ancora raccontare belle storie. 

Cinque più cinque: finalmente la convenzione che dona un pizzico di stabilità ad un rapporto più burrascoso di quello con Brooke di Beautiful con il concetto di fedeltà. Il San Paolo è una casa rinnovata nei colori, negli accordi, nel calore che sta tornando ad essere fattore importante per le sorti di questa squadra. Un patrimonio di tutti, da rispettare, da difendere, da coccolare anche contro 500 capre che percorrono 700 chilometri per qualificarsi con frasi del tipo “Abbiamo un sogno nel cuore, bruciare il meridione”. W il Sud. Sempre Sud. Comunque Sud. 

Sei a Lorenzo Insigne perché è stata una settimana complicata, perché certe parole non lasciano indifferenti. Certe ferite hanno bisogno di maggiore tempo, le piastrine più efficaci sono il tempo che passa, l’affetto che torna, un giro di campo, un abbraccio virtuale. Lorenzo si ritrova al San Paolo cambiando posizione e mettendo nuovamente in discussione tutto quello che era stato detto. Lorenzo forse si era perso nelle etichette, in una fascia appiccicata al braccio che sembra pesargli troppo nelle gambe e nell’anima. Lorenzo era intuito, illuminazione, campione scapigliato che trovava nell’estemporaneità la sua espressione più alta. Era Ritchie Blackmore che faceva l’amore con la sua chitarra per il riff di Smoke on The Water, ma di quel sound elettrizzante sembrava restare solo il Fumo che svanisce al ricordo. L’assist per il gol di Milik, l’impegno ed il sorriso dopo il cambio sono un buon inizio. Ora si resti su questa strada. 

Sette al vedo non vedo di Fabian Ruiz. C’è tutta la delicatezza di un’illuminazione che sorge da acque benedette dal signore del pallone, che sgorga da dentro al petto come fonte sacra, che nasce da una genetica evidentemente superiore. Un paradigma che racconta le imprese di un calciatore destinato a fare cose differenti, anche quando c’è da fondere la semplicità di un passaggio col tempo giusto fidandosi dell’intuito. Resta un’immagine leggera di un cavaliere ottocentesco che sul campo si muove senza fare troppo rumore, ma incidendo più di un bisturi nelle carne tremula della partita. 

Otto alla casa degli Specchi, che rimanda indietro palloni come fossero immagini riflesse. Meret tra i pali assume sempre più le sembianze di un Totem, accoglie ed esaudisce desideri più dell’albero della Vita di Avatar, ramificazione in costante aumento in contrasto con l’efferato delitto del disboscamento. Alex è dovunque, è tra le pieghe di una gara che poteva assumere un volto orribile senza la sua ubiquità al servizio dello scopo. Non si accontenta di una sola parata, ma si divise come lo Spirito Santo in tre per respingere nella stessa azione le offensive scaligere. Lo chiamavano Trinità. Santissima Trinità.

Nove ai gol da numero nove. Meravigliosa tautologia che sembra non spiegare nulla ed invece spiega tutto. Il ritorno alla rete di Milik ha un duplice gusto che va oltre l’atto liberatorio. È una novità tecnica, un tuffo nel passato di Arek che in certe contese sembrava non volerci più entrare. Contro il Verona segna due reti di puro istinto, di furia cieca, di famelica voglia. Senza metterci troppa poesia, puntando alla sostanza che diventa anche meravigliosa forma una volta raggiunto lo scopo. Finalità da finalizzatore, tutto quello che questo Napoli gli ha sempre chiesto. Tutto quello di cui questo Napoli avrebbe tremendamente bisogno. Nei nuovi inizi c’è sempre un bagliore luminoso, una speranza che ti acceca. Arek è il calciatore che ha già vissuto così tante vite, da non potergli negare una nuova occasione. Uno sbalzo temporale che lo proietta su una strada con ancora asfalto da maciullare sotto ai piedi. Ora dimostri di volersi prendere tutto il peso di questo attacco. E di avere le spalle larghe per farlo.

Dieci gare giocate in stagione: 6 vittorie, 2 pareggi e 2 sconfitte. Piccolo bilancio che lascia il tempo che trova, ma che ci permette di analizzare la situazione con distacco. Resta l’amaro di Torino, lo scippo del Cagliari e quel pari assurdo col Genk. Emergono segnali incoraggianti, come un Manolas,preciso come un esattore delle tasse che bussa alla tua porta e non ti lascia scampo. Ha le sembianze di una bustina di colore verde che ti fa tremare le gambe e che si arrabbia diventa ancora più verde al punto da assumere le sembianze dell’incredibile Hulk. Si intravede un Allan che combatte con il dissidio di voler tornare quello che era e la paura di non riuscire più ad esserlo, ma la volontà sembra rinnovata. Piccoli segnali di crescita sparsi qua e là, positività che andrebbe coltivata e raccolta contro chi invece ha nella tasca solo semi di odio ai quali non bisogna dare più acqua. Ora il Salisburgo e nessuno provi ad arretrare di un millimetro. È tempo di evoluzione.


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