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Da 0 a 10: la frase agghiacciante di Di Lorenzo, il dato shock al Maradona, il mistero Mazzocchi e lo sconvolgente déjà vu su Meret

di Arturo Minervini

Zero amore e senza amore la vita non esiste. E nemmeno la possibilità di vincere, in qualsiasi campo. Come una margherita a cui chiedi se t’ama o non t’ama, che ti dà sempre la risposta sbagliata, così questo Napoli. Che non si è amato e non ha amato, tradendo invece chi, i tifosi, l’ha amato senza condizione alcuna, senza ricevere lo stesso trattamento. Sfuggendo alla regola dell’Amor, ch'a nullo amato amar perdona, s’è trascinato come un corpo senz’anima, un cuore senza sogni, un cervello senza idee. Che tradimento.

Meno Uno di differenza reti al Maradona. Il dato è scioccante, incredibile, più che inquietante: in 16 gare a Fuorigrotta i gol fatti (22) superano quelli subiti (23). L’Inter, per citare la capolista, ha +31 a San Siro, il Bologna +21 al Dall’Ara. Il Napoli, nella stagione giocata con lo scudetto sul petto, nel proprio stadio, ha subito più reti di quante ne ha segnate. Più lo scrivo, più non ci credo.  Come Di Caprio in Shutter Island rischiò seriamente di perdere la ragione. E non sono il solo.

Due cose ho a questo mondo: le palle e la mia parola, e le ho sempre onorate. Frase cult di Tony Montana in Scarface che oggi, più che mai, danza nel cervello senza sosta ripensando a quanto visto in campo col Frosinone. Palle e promesse, hanno la stessa iniziale ed in questa stagione sono mancate le prime (nell’accezione di attributi) e rivelatesi come le prime le seconde (nell’accezione di bugie). 

Tre assenze in difesa ad Empoli: mancheranno Olivera e gli squalificati Rrahmani e Mario Rui (da valutare pure Juan Jesus). Per l’occasione, si spera, verrà scongelato quel treno (parole di De Laurentiis) di Mazzocchi, che nelle ultime sette gare non ha giocato nemmeno un minuto. Perchè? Con Di Lorenzo che in molti finali di gara pareva Dorando Pietri all’arrivo della Maratona di Londra, col capitano spesso stremato e pure sfinito da una stagione che l’ha logorato nel fisico e nella testa. Calzona ha buone intuizioni, ma da Sarri ha preso una roba davvero brutta per un allenatore moderno: l’integralismo.

Quattro e crocifissione in sala mensa per Meret e Mario Rui. Alex passa da eroe a boia in 20’: para rigore al 30’, regala un gol al 50 che induce ogni tifoso del Napoli a scomodare ogni tipo di divinità mai conosciuta sul pianeta. Malissimo pure Mario, che soffre Zortea e rischia il rosso per un fallo da reazione, che poi arriva nel finale. L’errore di Meret ha ricordato quello di Empoli di due anni fa, quello che apri alla rivoluzione dell’estate 2022. Sembrano esserci molte cose in comune con quel momento lì: c’è molta erba cattiva da tagliare.

Cinque a Cajuste, che non è ancora riuscito a rispondere a nessuna delle domande che puntualmente ci si pone quando si pensa al suo acquisto. Perchè lui? Che caratteristiche ha? In cosa può essere utile? Una commissione di studiosi è al lavoro al C.N.R. per provare, almeno, ad avallare qualche ipotesi credibile sui vari punti irrisolti. Col Napoli che doveva cercare il 3-2, Calzone lo inserisce al posto di Zielinski, ignorando pure Traore. Come andare a pesca e lasciare gli ami a casa, caro Ciccio. 

Sei gol di Osimhen nelle ultime sette giocate. Timbra ancora Victor, che però si trascina sulle spalle il rimorso di una clamorosa occasione fallita che poteva mettere in congelatore la gara dopo 20’. Nell’errore di Victor c’è tutta la psicosi azzurra: più hai tempo per pensarci, più dai tempo al dubbio di insinuarsi dentro di te. Quella debolezza di destini debellata da Spalletti, ritornata prepotentemente d’attualità. Victor è puro istinto: è la sua forza, ma pure il suo limite. 

Sette-otto, come i 78 minuti attesi da Calzona per i primi cambi (e che cambi!). Col clima torrido, con l’orario insolito, con lo stesso allenatore che dice in conferenza: “Col caldo bisognava gestire” e poi effettua sostituzioni tardive e totalmente fuori da quello che la partita raccontava e richiedeva. È un Napoli che ha pagato tutti i vizi dei suoi allenatori, difetti che non hanno perdonato prima Garcia, poi Mazzarri e Ora Calzona. Come ricordava lo spaziale Kevin Spacey de ‘I soliti sospetti’: “Un uomo può convincere gli altri di essere cambiato, ma non riuscirà mai a convincere se stesso".

Otto partite in Serie A con Calzona in panca e DODICI gol subiti. Dodici. Tanti, troppi, per cullare qualsiasi ambizione di rimonta. Come quella squadra che Era bellissima e che ora è “Fragile e piccola con le tue paure”. Luciano, non Spalletti purtroppo, ma Ligabue cantava così e pure lo spogliatoio conferma questa inspiegabile debolezza. Come un meteorite gigante, che prima minacciava il campionato, è che si è invece sgretolato a contatto con l’atmosfera. Il commento più inquietante è di Capitan Di Lorenzo: “Difficile aggiustare un puzzle che si è rotto”. I puzzle si possono aggiustare, ma serve la forza di volontà.

Nove gol in stagione di Politano, che si concede un bis di bellezza dopo la meraviglia di Monza. È bellissimo il movimento ed il mancino di Matteo, che ha giocato una delle sue migliori stagioni in carriera. Peccato abbia spesso predicato un verbo sconosciuto ad altri, passeggiando in un deserto tanto arido quanto avvilente per corpo e spirito. Quell’arcobaleno alle spalle di Turati sembrava davvero la svolta, con una tempesta da mettersi alle spalle ed un rush finale da vivere a mille all’ora. I compagni di squadra, però, non erano dello stesso avviso.

Dieci al pirotecnico mercato nella combo da Fatality di Mortal Kombat estate-inverno. Nella collezione degli orrori, le tracce disperse di Lindstrom, le leggende metropolitane su Natan e Cajuste e poi le promesse da marinaio di ADL: “Rimedierò col mercato di gennaio”. Una di quelle frasi che rimbombano nel cervello, mentre guardi Traore, Mazzocchi, Dendoncker a cuocersi al sole senza essere chiamati in causa. Un fallimento sotto ogni profilo: strategico, economico, tecnico. C’è un solo responsabile, il Big Beng di questo disastro, la scintilla che ha generato l’effetto domino che ha frantumato il capolavoro che lui stesso aveva creato. Aurelio, all’apice del suo masochismo, pugnalato da un calciatore, Cheddira, di sua proprietà. Manco Dante avrebbe saputo creare tal contrappasso.

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