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Da 0 a 10: la frase choc su Maradona, Koulibaly distrugge gli sceicchi taccagni, la promessa di Osimhen e il capolavoro di Gattuso

di Arturo Minervini

(di Arturo Minervini) - Zero allo spocchioso Imanol Alguacil, che fa la fine di Telespalla Bob che cammina su un campo minato di rastrelli quando parla al microfono, finendo sempre per farsi del male. Alla vigilia la gaffe su Maradona, blasfemia che in tempi più ferrei avrebbe comportato la scomunica immediata dalla comunità pallonara. Con le divinità non si scherza, se hai avuto la fortuna di vederne una devi solo inginocchiarti e tenere le mani giunte in segno di venerazione. Nel dopo gara, parla di Real Sociedad superiore e di Napoli fortunato, quando in realtà di pericoli agli azzurri ne ha creato uno soltanto. Piccolo bagno d’umiltà, che non fa mai male.

Uno al gol, che non è solo un numerino da scrivere nel tabellino. È un segnale, l’ennesimo mutamento di una pelle che muta, che cerca di abbandonare quelle piccole imperfezioni del passato. È un Napoli che sa far gol da fuori area, Politano non incontra la Dea Fortuna col suo mancino corretto al punto giusto. Politano la Dea Fortuna se la va a cercare. E questo fa tutta la differenza del mondo. 

Due cartellini gialli ed una tiratina d’orecchie. Sangue bollente fluisce di Osimhen, istinto che è peculiarità e non deve diventare limite. Inutile la protesta che porta alla prima ammonizione, così come il gomito alto sulla seconda. Niente drammi ed una certezza: uno con quel caratterino col Sassuolo avrà una voglia matta di farsi perdonare. La pioggia, in Africa, è sempre bramata e accolta con gioia. Domenica al San Paolo attenti alla perturbazione Osimhen. 

Tre punti non uguali ad altri. Perchè la Real Sociedad è pane duro sotto i denti, boccone che se non affrontato col giusto piglio rischia di andarti di traverso. E il Napoli cosa fa? Lo lascia sfogare, lo mastica senza avere la fretta di buttarlo giù. Mette in atto la strategia meno celebrata della storia, spesso la più vincente: l’attesa. Un’attesa che non sfocia nell’ozio, ma che diviene invece motivo di studio, di continua elaborazione sui propri limiti, spostati leggermente più in là. Del tipo: non sapevo di poter fare anche questo, non prima di farlo. 

Quattro di quattro. Lobotka nel ruolo di mezza punta si perde, si impegna ma finisce per smarrirsi tra un’identità che non è chiara in questa sua fase napoletana. Ininfluente in un ruolo non suo, come una canottiera d’inverno al Polo Nord, lo slovacco appare in difficoltà prima di tutto emotiva, poi anche tecnica. E c’entrano poco le qualità: qui bisogna che venga fuori il carattere. Ma non facciamone un caso.

Cinque vittorie su sei gare giocate (farsa di Torino esclusa). È un Napoli che sa essere così tante cose, così diverse l’una dall’altra, è allo stesso tempo Brendon Walsh e Dylan McKay in Beverly Hills 90210: diligente e retto, fuori dagli schemi ed istintivo quando serve. È la necessità che si piega alle molteplici facce della squadra e mai il contrario. Saper adattarsi non è un segno di debolezza, è semplicemente la capacità di rispondere alla domanda più importante che il mondo possa farti: “Sei pronto?”. La risposta è ‘Sì’. Sempre Sì.

Sei, eri, sarai. Sessanta anni di Diego, della sua comparsa. Dal mondo stravolto, perché una cosa come quella non si era mai vista prima. Non era uno che giocava col pallone, era il pallone a giocare con lui. Ad essere onorato nell’incontrare chi, come nessuno prima, riuscisse a domarlo, a piegarlo alla sua volontà. Non aveva nemmeno un filo di barba, ma già aveva una visione così chiara di quello che sarebbe stato, di quello che volevo. “Ho due sogni - diceva - il primo è giocare i mondiali, il secondo è vincerli”. Perchè Maradona non poteva accontentarsi. Perchè Maradona era Maradona prima che il mondo lo sapesse. Perchè Diego era di Napoli, ben prima che ci mettesse piede. Era destino, fato, inevitabilità. Era l’incontro bramato nel profondo, un bacio rubato alle tenebre. Auguri genio, che soffi tra i vicoli come un vento mai sopito. 

Sette cambi e non sentirli. Fluidità del pensiero comune, forza di una qualità diffusa anche tra quelli che non sarebbero strettamente titolari. Il Napoli pesca risorse sempre nuove, come la parata incredibile con cui Ospina porta voti al suo partito in netta ascesa nei sondaggi. Una contrapposizione che in questo momento si trasforma in punto di forza, una tensione emotiva che tiene tutti lì, con l’argento vivo addosso ed una gran voglia di entrare in campo a guadagnare consensi. ‘Bravo Gattuso che sa valorizzare tutta la rosascrive De Laurentiis: nello stesso tempo a Londra e Figline a qualcuno fischiano le orecchie come mai prima.

Otto a Politano, che paura non ne ha. Che scarica il mancino e se ne frega di dove andrà a finire. Che crede che quel sinistro possa finire proprio dove finisce. È convinzione, è sfrontatezza, è consapevolezza. Quella che Matteo sta riscoprendo, dopo che l’Inter si era divertita a farlo sentire meno bravo di quanto fosse. Rigenerato dalla cura Gattuso, sta diventando un’arma decisiva con continuità. Ecco, quello era l’unico dubbio sul suo talento: la continuità. Se fuga anche quelle perplessità, diventa uno capace di fare la differenza con quella mina anti-portiere che si ritrova al posto del piede.

Nove a Gattuso, re delle zucche come Jack Skeleton nelle visioni celestiali di Tim Burton in Nightmare Before Christmas. Rino ha spazzato via le paure, messo da parte i cattivi pensieri, coltivato un nuovo umore e introdotto nuove forme nel paese Napoli. Che disegna un nuovo volto, che si adatta, che non ha la presunzione di avere già imparato la lezione. Non fa più paura Halloween, non spaventano le streghe del passato ed un ammutinamento che è solo ricordo sfocato. È Sud Gattuso. Pensa Sud, parla Sud, Diffonde Sud. E Napoli aveva bisogno di Sud. Pare di vederlo, col dialetto calabrese mentre instilla idee nuove ai suoi ragazzi: “Non sforzarti di capirlo, devi solo immaginarlo”. 

Dieci al colosso fuori mercato che spazza via ogni rivale, un vero abuso di posizione dominante. È gargantuesco e pantagruelico Kalidou, che sembra personaggio sfuggito dal controllo della penna di François Rabelais. Divora avversari, li oscura con la sagoma imponente, spezza sul nascere ogni pensiero che possa recare pericolo al suo territorio. Ci sono ancora visibili sul terreno di gioco i tratti dell’onnipotenza, l’espressione di una superiorità che fa quasi arrossire per quanto netta. Koulibaly domina, si impone come una forza a cui è impossibile resistere. Koulibaly è di nuovo Koulibaly, con un sentito ringraziamento agli sceicchi taccagni che non ci credevano più. Forza della natura che torna a spostare l’asse terrestre, a cambiare la visuale del Napoli con quattro falcate che rimettono a posto anche quello che sembra il più grosso dei guai. Ai tuoi piedi, gigante buono.

Dieci al colosso fuori mercato che spazza via ogni rivale, un vero abuso di posizione dominante. È gargantuesco e pantagruelico Kalidou, che sembra personaggio sfuggito dal controllo della penna di François Rabelais. Divora avversari, li oscura con la sagoma imponente, spezza sul nascere ogni pensiero che possa recare pericolo al suo territorio. Ci sono ancora visibili sul terreno di gioco i tratti dell’onnipotenza, l’espressione di una superiorità che fa quasi arrossire per quanto netta. Koulibaly domina, si impone come una forza a cui è impossibile resistere. Koulibaly è di nuovo Koulibaly, con un sentito ringraziamento agli sceicchi taccagni che non ci credevano più. Forza della natura che torna a spostare l’asse terrestre, a cambiare la visuale del Napoli con quattro falcate che rimettono a posto anche quello che sembra il più grosso dei guai. Ai tuoi piedi, gigante buono.

Un post condiviso da Arturo Minervini (@arturo_minervini) in data: 30 Ott 2020 alle ore 2:12 PDT


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