.

Da 0 a 10: la mossa shock di Calzona, Mazzarri demolito con una frase, la furbata di Kvara e l’assegno in banca di ADL

di Arturo Minervini

Zero tiri nel primo tempo, per la prima volta in 59 partite di Champions. Sembrerebbe l’inizio della fine, invece può essere la fine per un nuovo inizio. Vero, nel primo tempo il Napoli non tira mai in porta, ma è come per le regole cadute di Salemme in Cose da Pazzi: è solo un caso. Il Napoli porta tanti uomini in area, aggredisce la trequarti, recupera qualche pallone interessante, quel che manca è un pochino di convinzione perduta. Le idee, in alcuni casi, seminano più speranze dei fatti. I fatti sono episodici, le idee sono un investimento più duraturo.

Uno a uno e tutto rimandato. Non è mica male, perchè di fronte avevi una squadra che ha fenomeni veri, sebbene qualcuno si sia divertito a dipingere il Barcellona come una squadra di catorci da rottamare. Serve l’impresa, è chiaro, ma se ci pensate bene siamo nella stessa posizione in cui eravamo prima della sfida del Maradona. Servirà l'Anguissa visto nel secondo tempo, vero ago della bilancia di questa squadra. La saggezza dei latini ci soccorre: “Nulla nova, bona nova’. Che poi, tifare Napoli, è come vivere una vita. Intensamente, come piace a noi.

Due moduli, poi tre, poi lo cambio, poi lo ricambio, poi se vinco mi richiudo, se perdo mi riapro e tu mi fai girar, come fossi una Bambola. Mazzarri s’era perso nei numeri, nelle rinunce, nelle pressioni, errore che Calzona pare indirettamente bacchettare in conferenza stampa: "In questi mesi questa squadra ha cambiato spesso modulo, perdendo delle certezze. Siamo tornati al 4-3-3. Io voglio molto ordine in campo, che ora non c’è”. L’urlo di Ciccio terrorizza l’occidente e pure San Vincenzo: pacco consegnato a casa Mazzarri. Calzona Prime. 

Tre settimane dalla gara di ritorno. Per lavorare, plasmare, forgiare, mettere le mani sull’argilla come Demi Moore in Ghost e provare a ridare vita a quel capolavoro perduto, ammaccato, sbiadito. Calzona avrà il tempo per imprimere i suoi codici, affondare le mani nella carne viva di questo Napoli e modellare la forma a lui più gradita. Rimandare tutto a quella data è stato già un grande affare, considerando che fino a domenica mattina manco immaginava di poter sedere su quella panchina. Ogni cosa ha il suo tempo, ed ogni tempo porta con se delle cose. Vedremo se belle o brutte. 

Quattro attaccanti nel finale. Calzona parla e fa, lascia che i fatti seguano le parole: alla vigilia aveva detto di non firmare per il pari ed era vero. Ci ha provato a vincerla, attingendo a piene mani alla panchina, fregandosene di fare cambi impopolari. S’è messo a fare pressione, a invadere la trequarti blaugrana cercando quasi con lo sfondamento di pescare il jolly finale. “Il coraggio non può essere contraffatto, è una virtù che sfugge all’ipocrisia”. 

Cinque a Kvaratskhelia Khvicha, professione fenomeno (giusto ricordarselo). Non è la sua notte, per tutta una serie di motivi: Olivera non si sovrappone mai, il Barcellona concede il fianco sinistro (il destro dell’attacco del Napoli) collassando dalla parte di KK, c’è ruggine sull’intesa con Osimhen dopo sessanta giorni di lontananza. Calzona, come il calabrone che non può volare, se ne frega che quello è Kvara e lo toglie dal campo, quando resta da giocare più di metà del secondo tempo. Impavido il mister, lucido il 77 che dal labiale si capisce che non la prende bene, ma fa il giro largo per andare in panchina, per sbollire la rabbia e placare gli spiriti. Per tornare in panca ha preso l’asse mediano, direzione Pozzuoli.

Sei e mezzo all’usato che torna di moda. Testimonial europeo del Vintage è Juan Jesus, che con il 90% di mestiere e il 10% di tutto il resto gioca una gara più utile che bella. Fondamentale, nella crescita del Napoli dopo l’avvio complicato, la sua aggressività su Gundogan, a cui ha lasciato in qualche occasione anche il calco dei suoi tacchetti, giusto per far capire che il calcio è uno sport di contatto. Juan si getta nella mischia, come uno degli anni 90’ che sentì e in lontananza un pezzo di Gigi D’Agostino: don’t stop the music. E nemmeno JJ. 

Sette come i settanta minuti di nulla di Cajuste. Lì, dove un tempo operava lo scienziato Marek Hamsik, terreno poi ereditato da Piotr Zielinski, si muove l’irreprensibile e incomprensibile Jens. Roba da andare in terapia di gruppo: “Ciao, sono Arturo, ho visto Marek Hamsik sul centro sinistra, poi Zielinski, ed oggi provo a cercare Cajuste che è materiale per la trasmissione di Federica Sciarelli”. Perchè se non fosse per la folta chioma di lui si avrebbero poche tracce. Ci sono due cose su cui si discuterà sempre: delle origini dell’universo e su che tipo di giocatore è Cajuste. Cosa fa? Dove va? È un giocatore difensivo? Offensivo? È un negoziatore? Citando Branduardi e Caparezza: “La fitta sassaiola dell’ingiuria. Li agguanto solo per sentirmi vivo al guscio della mia capigliatura”.

Otto a Meret, che tiene a galla il Napoli nel momento più difficile: l’inizio gara. Squadra confusa e sballottata, tra gli input di Mazzarri del lunedì e quelli nuovi di Calzona del martedì. Alex come nei film americani, sbarra porte e finestre prime dell’uragano, lui che sa bene cosa vuol dire sentirsi fragili e attaccati. Fa una parata di piede su Lewa che è roba per palati fini, intervento tre stelle Michelin che cambia l’inerzia della gara. Dopo la lunga assenza, il modo migliore per riprendersi la titolarità senza discussioni. Come Mr Fantastic il buon Meret: più lo schiacci, più si allunga. 

Nove alla vivacità dei Gemelli Diversi, alchimisti che miscelano ingredienti esplosiva nei flaconi della gara. Traore e Lindstrom provano a spaccare in due la partita e, per poco, non ci riescono del tutto. Creano squilibri, architettano situazioni vantaggiose, suggeriscono idee per ottimizzare spazio e tempo manco fossero addetti alla vendita dell’Ikea in maglia giallo canarino. Hamed e Jesper, Jesper e Hamed: tutti per due e due per tutti. Le variabili impazzite che meritano sempre più spazio, i titolari sono avvisati: c’è da star tutti sulla corda, sospesi come un brivido che vola via. Quanta adrenalina dal loro ingresso.

Dieci alla scintilla Osimhen, assegno in banca da 130 milioni di De Laurentiis. Perchè basta un istante per capovolgere un destino, uscire dal buio in cui ti eri ficcato, tirar fuori il naso e lasciare un segno di pittura rupestre come segnale di ripresa. È uscito dalla caverna Victor, per un breve saluto, che è un segnale di fumo lasciato all’orizzonte. Sommare talento al talento è il segreto per condurre degli individui a vincere da squadra. Osimhen, con tutti i suoi capricci, è un valore così elevato che aggiungerlo a questa somma diviene passaggio obbligato. Siamo in parte ostaggi di Vittorino, una condizione di necessaria dipendenza. Il Napoli ha bisogno dei suoi guizzi, dei suoi strappi, dei suoi gol per rompere l’ordinarietà di certe gare. Torna ragazzo. Torna più spesso a trovarci. Torna sempre. 

Commenta con l'autore


Altre notizie
PUBBLICITÀ