Da 0 a 10: la terza espulsione, l'impresa storica di Massa, il Var che distrugge l’uniformità e l'Albiol 2.0
Zero a zero. Mica è mancanza di coraggio, può esser pure lungimiranza. Quante ne avevamo perse di partite così nella storia recente? Fare, provare, riuscire: è una sequenza che non sempre può essere portata a compimento, ma l’approccio mentale all’impresa è stato quello rigoroso di Yoda che infonde la sua lezione di saggezza a Luke Skywalker. Tenere i battiti del cuore sotto controllo è il segreto per vincere le maratone.
Uno a uno a San Siro, col Var che salva la Juve. Il rigore assegnato conferma che in Serie A non esiste un regolamento che vale per tutti. A Milano l’arbitro Mariani valuta il contatto in diretta, fa ampi gesti invitando Alex Sandro a rialzarsi. Il Var lo invita a rivedere il contatto. Resta dunque ancor più INQUIETANTE il SILENZIO del Var nel contatto tra Vina e Anguissa, che era pure più netto di quello assegnato alla Juve. Il concetto ‘Chiaro ed evidente errore’ è il solito rigurgito dell’Ancien Régime, un oceano di discrezionalità inquinato e maleodorante. Siamo alle solite. E siamo stufi.
Due espulsioni, poco sensate, ma è la terza (mancante) che pesa nell’equilibrio della gara. L’intervento di Abraham è scomposto e rischia di far male a Zielinski: c’era il secondo giallo per l’attaccante e probabilmente avremmo raccontato una gara diversa. Massa anche in questo caso ha capito male, una difficoltà di recepire quello che accadeva attorno a lui resa ancor più palese dall’assurdo rosso sventolato sotto al naso di Spalletti che voleva solo complimentarsi. Impresa storica.
Tre reti subite in nove gare. Si percepisce solidità, coesione della materia e dello spirito in una squadra che scivola organica a disporsi in assetto di difesa. Un cubo di Rubik che assume sempre lo stesso colore e la stessa faccia. ‘Si difende insieme è una conquista da non prendere sotto gamba. A fare la differenza è la velocità con cui si passa da fase offensiva a fase difensiva, la capacità di leggere il momento tra l’essere martello e l’essere incudine. Come avere sempre la risposta pronta alla domanda della tua compagna: “Oggi andiamo al centro commerciale?”
Quattro allenatori espulsi: abbiamo un problema. Una distanza abissale, tra quello che è nella testa degli arbitri ed una realtà così distante, distaccata, vissuta quasi come un fastidio, tollerata a stento. Lì dove servirebbe il dialogo, viene difeso strenuamente il silenzio, questa Bat-Caverna delle oscurità dove dominano ombre e non luci. Perchè non distruggere questo muro? Recidere questa recinzione che non è salvezza, ma sono condanna per il mondo arbitrale. Liberateli. E fateli parlare.
Cinque a Zielinski che non sembra nemmeno Zielinski. Un percorso a ritroso, ballerino del Musical ‘Se il tempo fosse un gambero’ che riscopre tutte le timidezze che sembravano alle spalle dopo la scorsa stagione. Giusto qualche escursione con lo spray da writers di periferia, talento che ha macchiato le pareti di alcune gare senza trovare però continuità. Riprenditi Pietro, il prima possibile.
Sei a Vittorio. Che contesta ogni pallone, che si getta nella mischia, che porta i difensori della Roma a raggiungere la soglia estrema per fermarlo, anche a costo di mettere a repentaglio la propria incolumità come in occasione del clamoroso palo di metà ripresa. Deve essere snervante provare contenere uno così incontenibile. Non è un onda, che viene e che va. È uno tsunami pronto a minacciare costantemente e il tuo orizzonte.
Sette alla simpatia di Mourinho, che fa il suo solito show, che ride con Insigne e si concede pure qualche parola in napoletano. Che abbraccia Spalletti, che scambia battute in grande serenità e che analizza gli eventi per quello che sono. Il ritorno di uno che dice quel che pensa, in un ambiente zeppo di gente che dice solo ciò che conviene. È sempre un piacere, Mou.
Otto a Rrahmani, perché se ne parla meno degli altri e invece è uno dei perni di questo Napoli che concede le briciole agli avversari. Puntuale, pulito, lucido e determinato: Amir è il nuovo che avanza, che è già insostituibile perché consente a Koulibaly di essere pienamente Koulibaly. È una versione 2.0 di Raul Albiol, il ragionatore che consente a KK di essere tempesta e impeto.
Nove vittorie. Perchè a volte quando pareggi, vinci. Perchè vittoria e sconfitta solo solo una lezione da cui tratte ciò che ti serve. Si può dire che questa squadra ha le palle quadrate? (No, nessuna decorazione alternativa anticipata del Natale). Si può dire che c’è una spavalderia, che non migra mai nella presunzione, che racconta di un livello di conoscenza della propria forza tutta nuova. Fino a prima di Roma non si poteva dire, dopo la prima non vittoria stagionale in campionato possiamo invece affermarlo: questo Napoli può lottare per vincere lo scudetto. Non ha l’obbligo di vincerlo, ma di provarci adesso sì.
Dieci i punti di vantaggio sulla quinta in classifica. Ad un quarto del cammino lo scalatore si volta indietro, controllo i distacchi, fa il conto sommario delle energie che ancora ha da spendere. E c’è una cosa che lo sport ci ha insegnato: che gli occhi del ciclista non mentono mai. Bene, se lo guardi negli occhi, questo Napoli ha ancora tanto da spendere, a dirla tutta sembra ancora tenere nascoste alcune carte da giocare nel corso del cammino. È Pantani, che tiene ancora la bandana in testa, studiando il momento migliore per affondare colpi possenti sui pedali.