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Da 0 a 10: le ingiurie su Garcia, Jesus asfaltato per colpe non sue, il dito medio e la vendetta di Sarri e lo scambio Elmas-Raspa

di Arturo Minervini

Zero alla fitta sassaiola dell’ingiuria su Garcia. È il grande gioco dell’estate, l’irresistibile tentazione di chi non ha argomenti ma solo pregiudizi: massacrare Rudi. Bollarlo, a priori, come bollito e inadatto al Napoli. Esercizio consueto di povertà d’argomenti, quando servirebbe un’analisi lucida e spietata dopo un ko che ha tante madri e non un solo padre. “C'è chi mi vuole folle e chi follemente spera che toppi carriera…Ficca aghi nella mia bambolina, mina la via che l'anima mia cammina”.

Uno il punto da chiarire: il Napoli ha perso per colpa di tutti. Il black-out è stato collettivo, corale, implosione generale come nel finale di Fight Club con Edward Norton che dice: “Mi hai conosciuto in un momento molto strano della mia vita”. Ecco, il Napoli è transizione, deve combattere il bipolarismo che si trova davanti al bivio di passato e futuro. Non c’è da allarmarsi, ma da affinare nuovi automatismi, accogliere nuove abitudini, abbracciare una filosofia differente. 

Due Napoli. Tra quello del 1° tempo e quello del 2° c’è la stessa differenza di Genny Savastano prima e dopo il viaggio in Honduras. Spavaldo nella prima frazione, timido e goffo nella ripresa. L’ultimo ricordo è quello che resiste di più nella memoria, che inquieta, ma qualche secondo di riflessione dedichiamolo pure ai primi 45’ di assoluto dominio. 

Tre a uno. Per due volte hai preso la tranvata del terzo gol laziale, poi annullato dal Var. Come Lino Banfi che dà la scossa alle aragoste ne ‘Il Bar dello Sport’, il Napoli ha subito uno shock esterno che avrebbe dovuto ridestarlo, almeno nelle sinapsi. E invece no. È rimasto incredibilmente piatto, s’è accasciato sul fianco come una sirena stanca. Il distacco emotivo dal match è la vera questione, la poca lucidità nel gestire la pressione e le distanze tra i reparti. 

Quattro come quaranta: le giornate vissute da capolista. Dalla prima dello scorso campionato, il Napoli non è più primo: suonano campane a festa in molte città italiane, redazioni comprese. Sarebbe sciocco disunirsi, non seguire l’invito del maestro Capuano a Fabietto in E' stata la mano di Dio. Questa squadra può riprendersi quella posizione, può ricucirsi sul petto quel tricolore in un solo modo: col sostegno.

Cinque e mezzo a Juan Jesus, che paga una colpa non sua. Impensabile pensare che il brasiliano possa fare il lavoro di Kim, un Pac-Man gigante che copriva trenta metri di campo in due falcate e ti consentiva di stare altissimo senza pagare mai dazio. Senza il Facocero sud-coreano i rischi aumentano, così come un rischio è stato sostituire con un calciatore ‘non pronto’ (parole di Garcia su Natan) il miglior difensore del campionato scorso.

Sei tiri totali della Lazio, solo due nello specchio, contro i ventidue del Napoli. I numeri se ne fregano delle intenzioni, della tattica, della condizione fisica: i numeri restano numeri. Sono fotografie, parziali, ma comunque indiscutibili di un momento. Se tiri 22 volte e fai gol con una mezza autorete, qualche colpa la deve avere pure il tuo attacco. Sarà pure vera la storia del flipper, del nonno e delle tre palle, ma SE nel primo tempo finisce 3-1 oggi eravamo al mare a ridere e parlare della nuova ondata di caldo. Che vendetta di Sarri dopo le polemiche sul dito medio a Capodichino.

Sette minuti col Sassuolo, ieri in panca tutta la gara. Elmas era il primo cambio di Spalletti, ruolo che Garcia pare voler affidare (forzatamente) a Raspadori. L’energia del macedone, con un Napoli ciondolante, sarebbe servita molto di più di Raspa, abbandonato sulla corsia in un ruolo che manco è il suo. L’unico errore che può commettere Rudi è pensare di andare oltre Spalletti, oltre quelle certezze che devono essere un punto di forza e non un feticcio da osservare con timore. 

Otto minuti del secondo tempo, l’ultimo frammento di Napoli che si dissolve all’orizzonte. Il gol di Kamada è una Collection di sbavature, di posizionamenti errati e di letture frettolose che di fatto preannunciano la fine anticipata delle ostilità. Da quel momento il Napoli si ritrae nel suo guscio, non perde la gara: si rifiuta proprio di giocarla. Conversione improvvisa alla religione Giainista come la figlia dello ‘Svedese’ in Pastorale Americana di Roth.

Nove come novanta minuti di uno sconosciuto nel corpo di Anguissa. Forse la peggiore prestazione in azzurro di Frank, talmente lontano dai suoi standard che nemmeno ci si crede. Passeggia, coi tempi di reazione in curva di Steven Bradbury ma senza la stessa fortuna. Come se un altro abitasse la sua pelle, i suoi muscoli, la sua capacità di proteggere la trequarti dalle invasioni nemiche. Se a una città togli una diga, quella città è in guai seri.

Dieci alla benedetta sosta. Si attende l’ufficialità dei rinnovi di Osimhen e Zielinski, così come l’adeguamento di Kvara, per chiudere definitivamente agli spifferi di mercato. Per buttare la testa ‘nel libro’ come diceva Pavese, concentrandosi esclusivamente sul Napoli e lasciando fuori ogni altra questione. Il potenziale di questa squadra resta sconfinato, chi pensa che il Napoli abbia perso solo per colpa dei due centrali difensivi non ha mai visto una partita di calcio. È il sistema che è crollato, a Garcia la ricerca delle scintilla che ha avviato la detonazione.

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