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Da 0 a 10: lo choc del primo contagiato, Gattuso ribalta lo spogliatoio, gli insulti dopo il gol e la mattonella di Fabian

di Arturo Minervini

(di Arturo Minervini) - Zero ai vigliacchi in Curva. ‘Napoletano corona virus' cantavano confusi dentro al gregge. La massa fluida che si insinua nelle miserie del genere umano. La natura razzista che emerge sotto la copertura del gruppo. Al San Paolo sono arrivate multe a persone sedute ad un posto che non era loro, pretendiamo adesso che tutte queste bestie vengano identificate e daspate a vita. Non lo chiediamo per vendetta. È una forma di tutela. La coglionaggine è un virus che si propaga molto in fretta. Quella Curva va chiusa, messa in quarantena. Perché potrebbe infettare tante altre persone e, a quanto pare, è già accaduto dalle parti di Bergamo ad un ‘noto’ giornalista ‘Libero’. Sì’, libero di dire ca…

Uno il gol subito che macchia un primo tempo cigolante più della portiera di una fiat Mirafiori 131. I soliti passaggi a vuoto, che con coerenza il Napoli snocciola sul terreno di gioco con disinvoltura schizofrenica. Il pigiama party in stile Pink Ladies come in Grease organizzato in area sul gol di Chancellor vede tutti fermi ed assonnati mentre il centrale stacca in terzo tempo. C’è un concetto che bisogna ficcarsi nella testa: non si può abbassare la tensione nemmeno per un centesimo di secondo. È un mondo crudele.

Due occasioni per agguantare il record: una traversa scheggiata con una genialata ed un gol annullato per fuorigioco. Dries accarezza l’idea dell’ascesa al trono, un po’ come Carlo di Inghilterra fa da circa 50 anni. Marek, però, è la Regina Elisabetta e ben presto dovrà condividere la sua corona con Dries. Una sceneggiatura romantica, vorrebbe che un gol così importante venisse segnato all’interno di una cornice più degna dell’indegno Rigamonti. Nella storia bisogna entrarci come si deve: Ciro, che ne pensi di una bella doppietta martedì sera contro quei diavoli in maglia blaugrana? Se ti piace l’idea, dacci conferma.

Tre punti, eppure qualcuno storce il naso. Come se i protagonisti di Miseria e Nobiltà, a digiuno da mesi, iniziassero a contestare la qualità di un abbondante piatto di pasta. La percezione distorta delle cose ha portato qualcuno a non rendersi conto della situazione, a sottovalutarla archiviandola con la frase che non significa nulla ‘Noi siamo il Napoli’. Questo Napoli quest’anno è stato martoriato, è ferito, sanguinante. Sulla pelle, nella testa, nelle idee. Per guarire esiste una solo medicina: l’autostima che arriva dalle vittorie. Gioite, non fa male. Provateci, vi sentirete molto meglio. 

Quattro vittorie su cinque in trasferta in campionato con Gattuso, con l’unico ko nato dalla follia di Ospina su Immobile. Rino è entrato fino al tessuto epiteliale, ha strappato via le cellule morte ed ha ridato una pelle nuova a questa squadra. Ha installato il dna del camaleonte, la capacità di non avere sempre e soltanto una forma. Perché il pallone ti mette dinanzi a situazioni sempre nuove e adattarsi è la più grande forma di evoluzione conosciuta in natura. Per informazioni, chiedere ad un certo Charles.

Cinque mesi per un rigore, al punto che arriva Morgan e chiede: 'Che succede?’. Dal 22 settembre al 21 febbraio: da Lecce a Brescia, 1026 chilometri di distanza che raccontano un martirio. Il pugnale insanguinato nella schiena del Napoli ci è rimasto conficcato per un lasso temporale e spaziale infinito, ha generato danni che incideranno a caro prezzo su presente e futuro. L’ultimo rigore in Salento, è servita la revisione del Var ad Orsato (sì, lo stesso dello scandaloso Inter-Juve che ha deciso lo scudetto del 2018) per vedere la sbracciata in area bresciana. Una serialità di omicidi che hanno tolto al Napoli quei punti che adesso gli consentirebbero di essere in piena lotta Champions. Questo contentino serve a poco, non dimenticheremo mai quello che ci avete fatto.

Sei alla fantasia dell’ineffabile coppia Bergomi-Caressa. “Hai visto come strappa Tonali?!” Suggerisce Beppe. “Guarda come difende il Brescia” replica Fabio. Sembra il discorso finale di Aldo, Giovanni e Giacomo dopo la famosa partita di Tre uomini e una gamba. “Si, tutto bello, ma come abbiamo fatto a perdere 10 a 3?”. ‘La sua soddisfazione, è il nostro miglior Premio’ cit.

Sette a Insigne. Che prima di entrare in campo nella ripresa parla con i compagni, cerca di stimolare corde emotive assopite. Che procura un rigore, trasformato con freddezza. Che si batte la mano sul petto e racconta dell’orgoglio ritrovato. Che non ha più sulla faccia disegnati vecchi rancori, non ospita espressioni che celavano malessere. Rinascere nella vita succede molte volte, ma nemmeno ci facciamo caso. Perché siamo distratti, perché andiamo di fretta. Perché pensiamo che tutto viaggi su una grande linea parallela. Invece no. Nelle curve della sua esistenza calcistica, Insigne si è regalato un nuovo inizio. Ha avviato un processo virtuoso, mettendo da parte vizi antichi e rincorrendo solo il lato positivo. Accresciuta la visione globale, un viaggio all’incontrario verso un Paradiso Perduto in stile John Milton. Non importa dove si regna, importa regnare.

Otto alla fame insaziabile di Rino. “Mi dà fastidio vedere la squadra che dopo il gol preso alcuni si insultano” dice in conferenza, ed immaginiamo che lo spogliatoio abbia tremato all’intervallo per quanto accaduto dopo la rete subita. Il mister vuole creare una squadra, ragionare sul singolo per arrivare poi ad affermare un concetto unitario. Non esistono individualità che abbiano la precedenza. Il suo volto a fine gara spiega perché lo chiamano Ringhio. Leggenda narra che Gattuso ti morde fai 5 passi e poi ti accasci al suolo. Un Mamba calabrese che ti stordisce con un Veleno (ovviamente) al peperoncino. Daje Rino!

Nove a Rodrigo Díaz de Bivar, più semplicemente noto come ‘El Cid’: il conquistatore della Lombardia, che dopo l’Inter affonda anche il Brescia. Fabian in versione imperiale ridimensiona l'ostinazione delle rondinelle con il potere trascendente del talento. Prende la mira, valuta gli spifferi che sorvolano sul Rigamonti, poi affonda il bisturi mancino nell'aria che si fa rarefatta al passaggio del suo sinistro. Il suono successivo è quello di un abbraccio tra pallone e rete. Nasce poesia dai piedi dello spagnolo ritrovato. Versi che meritano di essere ossequiati in silenzio. Dategli quella mattonella dalla destra e vi solleverà il mondo.

Dieci punti conquistati da situazione di svantaggio nelle gare in trasferta. Quanto è fragile la psiche, quando è volubile l’animo, quando è sconosciuto il motore immobile della coscienza. I numeri lontano dal San Paolo racconterebbero di un Napoli in piena corsa Champions, azzoppato nella sua corsa proprio dal rendimento tra quelle che dovevano essere mura amiche. Inconsapevolmente ci si perde, come certe amicizie che evaporano gradualmente. “A volte è più facile confidarsi con un estraneo. Chissà perché. Forse perché un estraneo ci vede come siamo realmente, e non come vogliamo far credere di essere” scrive ne ‘L’ombra del vento’ Carlos Ruiz Zafón. Potrebbe essere una spiegazione plausibile per un Napoli che ha provato a simulare tra le mura amiche qualcosa che non era. O, per lo meno, non era più.


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