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Da 0 a 10: Petagna cambia ruolo, Spalletti spiega il cambio di Mertens, i cinque furti e il messaggio ai napoletani di Gasperini

di Arturo Minervini

Zero a quelli che ‘meglio non si poteva fare’. Non urliamolo al mondo, laviamo i panni sporchi in famiglia, sussurriamoci all’orecchio che qualcosa di diverso poteva esser fatto. Chi si accontenta gode, ma nemmeno migliora più tanti. Si chiama ambizione, quella che deve essere nelle corde di questa squadra. In una situazione disperata hanno sfiorato l’impresa, ma a volte le cose le devi toccare per rendere la missione compiuta. Con serenità, si rifletta sul passo che è mancato per completare l’opera. Non sconfitte, ma insegnamenti.

Uno dentro a tanti, tanti dentro ad uno. È la rivisitazione in chiave moderna della formula dei Moschettieri, una direzione comune che Spalletti ha saputo imprimere alla sua rosa. Dare il massimo e uscire tra gli applausi anche se il massimo non è bastato: è la formula vincente per chi ama il pallone, lo sport, la fatica, il sudore. Se tutti danno tutto, la prima reazione è dire bravi. E con l’Atalanta nessuno si è risparmiato. Ripartiamo da qui.

Due i cambi di cui si parla, si parlerà. Perchè poi è pure questo il bello. Togli Ciro? Ma perché Luciano, perchè? La grazia violata del gol è una colpa assai grave, una scelta che va oltre il coraggio e la prudenza. Mertens ha segnato 5 reti nelle ultime 4 gare, alla media spaventosa di un gol ogni 42’. Non sembrava una notte da pensare troppo al domani, forse l’unico che ci doveva pensare era solo Spalletti. È un lavoraccio quello dell’allenatore, il cambio è spiegato dalla paura di perderlo, ma in questo momento togliere Ciro dal rettangolo verde è come fare la parmigiana con le zucchine. Sacrilegio. 

Tre punti all’Atalanta che non cambiano i giudizi: chi pensa il contrario, tolga la maschera e lo dica adesso. Il Napoli c’è, ha la duttilità di indossare un nuovo vestito e tenere botta nonostante l’emorragia. Mantiene la lucidità, come un Di Caprio agonizzante negli ultimi trenta minuti di un film qualsiasi in cui alla fine ci lascia le penne. Con tante ferite, con una difesa a tre proposta per l’occasione, con alternative che sono di livello ma che non possono essere dello stesso livello di chi mancava. Chi sbraita e dice: la rosa, il mercato, le quattro stagioni di calcio ci capisce poco.

Quattro gare e otto gol presi. Lazio esclusa, la difesa del Napoli ha sperperato qualche certezza. Per le assenze, per la stanchezza, per qualche incertezza di Ospina (sul gol di Freuler, ad esempio), per una fase difensiva che richiede sempre concentrazione massima. Ci possiamo raccontare tutte le favole che vogliamo, ma i campionato si vincono sempre allo stesso modo: prendendo meno gol degli altri.

Cinque capolavori trafugati da una libreria: pensate possa avere lo stesso valore? Ci sono opere non replicabili, volumi unici che sono patrimonio del mondo. Nel nostro campionato non esiste un altro Koulibaly, un altro Fabiàn, un altro Insigne, un altro Anguissa, un altro Osimhen. Puoi tamponare, ma poi concedi altrove. È un tubo che perde acqua da punti distanti, è un’emergenza che va ben oltre il concetto di sfiga. Se non teniamo questo principio alla base di ogni discorso, stiamo facendo discorsi del cavolo. Il talento non si falsifica nel pallone, l’impegno non può colmare la distanza che c’è tra un campione e un ottimo giocatore. Petagna, ad esempio, è il tuo terzo attaccante. E ci può stare. Ma quando entra, deve fare l’attaccante. Attaccare, non defilarsi, non restare ai margini. E, magari, non spedire in curva un pallone buono che gli capita.

Sei davanti 2-1 e pensi che la tempesta sia passata. Forse è lì che il Napoli perde il filo, imbocca il labirinto dell’Atalanta e si affida alle ali di cera della difesa estrema, senza provare a far male. C’è quel passaggio a vuoto che va dal gol di Mertens a quello di Freuler su cui lavorare, un difetto di inerzia che era probabilmente un modo per rifiatare. Ma l’esperienza è quella cosa lì, che poi la prossima volta dovresti saper come affrontare un’emergenza simile. 

Sette a Malcuit, che attacca a testa bassa e punta il fondo col ciuffo ribelle. Incontenibile quando offende, rivedibile quando difende: è la sua natura, non da ieri, ma trovarsi in mezzo al campo con ancora le bustine di naftalina attaccate alla maglia non era semplice. La risposta è cazzuta, come dicono quelli cazzuti che usano un linguaggio cazzuto. Kevin sgroppa, crossa, inventa, non si intimidisce e si propone per qualche nuova apparizione, quando ormai sembrava già prenotato il corriere per ritirare il reso. Come quel vestito che non mettevi da tanto, poi piove, hai tutte le altre cose bagnate, e riscopri che alla fine non ti stava così male. Bravo Kevin.

Otto a Lobotka, perché fino all’infortunio stava dominando la gara più di quanto si possa pensare. Era la chiave nella gestione del pressing indemoniato della Dea, con i gesti lenti a mandare fuori giri quelli dell’Atalanta che gli ronzano a velocità frenetica attorno, elettroni che si muovono a folle velocità attorno al nucleo del gioco del Napoli, ovvero Stan. E il ragazzo gestisce bene quasi ogni pallone, avvia ripartenze che non possono essere tacciate di esser prolisse: punta all’essenziale, pochi tocchi e provare a far male. Esce lui ed il Napoli non si raggomitola più: era l’Arianna di Teseo in quel labirinto di cui sopra. Una ruota che scoppia in viaggio dopo che hai già bucato cinque volte: è accanimento.

Nove al guagliuncello di 34 anni che si fa 50 metri a sprintare e mica perde lucidità, perché lo alimenta la passione. E quel combustibile lì non invecchia, soprattuto se lo miscelo con la classe sopraffina di Ciro. Segna Mertens, segna ancora. E mette qualità in ogni giocata, perché la sponda per Zieliniski è roba da palati fini, da scienziato del pallone. E quando Dries è questo qui ne vuoi ancora, e ancora, e ancora. Non ti basta mai uno così, staresti per ore ad attendere che il pallone gli capiti tra i piedi perché poi nasce bellezza, perché poi ti emozioni, perché poi pensi che non è ancora il momento di finirla questa storia incredibile. E allora Spalletti, non ti crucciare, ma quando togli Mertens dal campo noi ci arrabbiamo. Ci restiamo proprio male, come i bambini quando si ferma la giostra al parco giochi. 

Dieci al pubblico del Maradona, che quasi riesce a colmare quel vuoto che è profondo quanto la Fossa delle Marianne. Il Napoli l’ha spinto la sua gente, soprattuto dopo la prima mazzata di Malinovskyi che è rischiava di mandarti al tappetto. Un corpo che cede alla tentazione di lasciarsi andare, sorretto da tante mani come la scena di Spider-Man in metropolitana: giù la maschera, nessun trucco. A risollevare la squadra quelle voci, la carica di chi sapeva che doveva tirar fuori qualcosa di più, che il sostegno doveva diventare fisico e non solo emotivo. Infondere energia ad una squadra allo stremo delle forze. E alla fine sono applausi, per tutti. Anche per l’Atalanta di Gasperini, che non è per niente simpatico ma riconosce la grande sportività del pubblico del Maradona. È stata una bella serata di sport, peccato non aver giocato ad armi pari.


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