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Il cavalluccio rosso di Gattuso

di Redazione Tutto Napoli.net

(di Arturo Minervini) - Dunque, io tengo un nipote, si chiama Geppino… Inizia così, uno dei tormentoni più brillanti che Napoli ricordi: quello reso leggenda da un impareggiabile Riccardo Pazzaglia in ‘Così Parlo Bellavista’. È una storia quotidiana, un racconto popolare che richiama orecchie invogliate dal grande appetito delle masse: la curiosità. 

Per settimane ci siamo ritrovati nella stessa piazza, abbiamo aguzzato l’udito aspettando di conoscere il finale del racconto di Rino Gattuso. Ogni volta, abbiamo provato a guadagnare metri, perché sì sa, ‘quelli in fondo non sanno niente’. E ci siamo avvicinati, sicuri che Rino avrebbe spiegato le sue idee, le cose che andavano aggiustate nel suo Napoli, lo sviluppo tecnico-tattico del suo progetto. 

“Lui ha detto voglio un cavalluccio dice però, ha precisato, lo voglio rosso!”. Geppino, il nipote di Pazzaglia, aveva le idee chiare. Il cavalluccio lo voleva rosso, e su questo non era disposto a transigere. Gattuso, a differenza di Geppino, non ci ha ancora fatto capire come lo voleva questo Napoli. Offensivo? Catenacciaro? Col gioco verticale? Col finto tiki-taka? Con Hysaj a sinistra? Con Bakayoko a fare cosa in mezzo al campo? Con Fabiàn costretto a fare il mediano?

Puntualmente, però, il nastro veniva riavvolto. Il dialogo popolare diventava triste soliloquio, il testo ripetuto pedissequamente come fosse una filastrocca. Al posto del Cavaluccio, metteteci il veleno, qualche pizzico, problemi di olfatto, l’invocazione a qualcuno che mancava, a qualcuno che aveva la testa altrove. Insomma, il ciclo continuo caratteristico di chi, in mezzo ad una piazza, prende la scena senza mai riuscire ad arrivare ad una conclusione.

Al punto che ti verrebbe da dire: Gennaro, ma alla fine, ch’è succieso? Ch’è successo. 'Dunque io tengo un nipote che si chiama Geppino, figlio di mia sorella separata, ch’è stata sfortunata col marito…'.


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