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Clemente di San Luca a TN "Dieci indicazioni per capire correttamente le regole del calcio"

di Arturo Minervini

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha voluto fare alcune precisazioni sulla questione arbitrale in questo testo elaborato con la collaborazione dei suoi allievi Giovanni Martini e Mario Paladino.

"Come un fiume carsico, il tema delle regole del gioco del calcio è tornato prepotentemente di attualità. I programmi televisivi ad esso dedicati – tanto nelle reti nazionali (Sky, DAZN, Rai e Mediaset), tanto in quelle locali – vengono condotti adoperando un linguaggio tecnicamente inap-propriato, giacché riferito a contenuti regolativi erronei. È chiaro che usiamo l’avverbio «tecnica-mente» con riguardo alla tecnica giuridica, non a quella del gioco del calcio.

Quali studiosi accademici della disciplina radicatasi nella Cattedra universitaria di «Giuridi-cità delle regole del calcio», consideriamo indispensabile evidenziare le gravi inesattezze contenute nelle dichiarazioni della quasi totalità degli opinionisti che animano il dibattito mediatico, a comin-ciare dal designatore AIA Gianluca Rocchi (dottore in Giurisprudenza con una tesi in Diritto sporti-vo sul VAR), per un’ora a confronto con due giornalisti ed un ex calciatore in una trasmissione di Sky calcio (disponibile on demand), per finire all’ex arbitro Casarin, che tutti i lunedì mattina a Ra-dioanch’io sport, RaiRadio1, spiega ‘a modo suo’ gli episodi arbitrali controversi, passando per i tantissimi allenatori, ex e in carica (Capello, Fonseca, Gattuso, ecc.) ed ex calciatori (Adani, Costa-curta, Di Canio, Marchegiani, Mauro, Montolivo, e così via), che affollano le trasmissioni radiofo-niche e gli schermi televisivi, dispensando opinioni prive di fondamento tecnico-giuridico. Opinioni – quali «questo non è calcio» – che ben possono rilevare in vista di eventuali modifiche delle regole vigenti, giammai quali criteri integrativi nella interpretazione di queste. Un conto è la scienza giuri-dica, altro la politica del diritto. Riteniamo perciò doveroso precisare i seguenti dieci punti.

1) Le regole del gioco sono norme giuridiche. Il fatto che della loro violazione non ci si possa lamentare dinanzi ad un giudice dello Stato non ne muta la natura. Vanno applicate rigorosa-mente secondo la tecnica interpretativa propria della scienza giuridica. Sono pertanto inconferenti ed irrilevanti, perché non codificate dalle norme, espressioni del tipo «è troppo poco per fischiare un rigore», «rigorino», «è tutta soggettività», «cartellino arancione», «lasciar correre» o «lasciar giocare», «gioco all’inglese», «consentire il gioco maschio», «metro di giudizio», «valutazione di campo», e così via. Il loro uso ha il solo effetto (e anche lo scopo?) di aumentare lo spazio di valu-tazione discrezionale degli arbitri, che la regola non attribuisce loro. Ci si lamenta della mancanza di uniformità senza capire che è una diretta e inesorabile conseguenza proprio di questo continuo ‘slabbrare’ il dettato normativo.

2) Bisogna distinguere l’accertamento del fatto dalla sua qualificazione giuridica, cui consegue la sanzione tecnica e/o disciplinare. Oggi, grazie al VAR, il fatto – che poi comunque resta sempre suscettibile di diverse valutazioni tecniche – è rilevabile in maniera pressoché certa e inopinabile. Si può, dunque, non essere d’accordo con una decisione dell’arbitro in relazione alla valutazione tecnica del fatto (a causa della intrinseca, ontologica, opinabilità di questa). Ma non è controvertibile l’acclaramento di quest’ultimo. Vigente il VAR, essere in disaccordo sulla rilevazione del fatto è per definizione insostenibile, perché l’eventuale erroneo accertamento da parte dell’arbitro sarebbe corretto dalla rivisitazione televisiva (fatti salvi il malfunzionamento dello strumento tecnico, oppure la fallacia, in buona o cattiva fede, nella sua utilizzazione). Per capirci, si può dubitare della qualificazione di un contatto come falloso, ma non della sussistenza del contatto.

3) Non v’è alcuno spazio di discrezionalità ulteriore rispetto a quello previsto dalle regole. Sono molteplici le fattispecie in cui l’arbitro è titolare di un potere di scelta, ma la discrezionalità deve essere sempre esercitata in conformità con quanto previsto dal Regolamento, che la circo-scrive in maniera significativa.

4) Vanno tenuti distinti 3 tipi di discrezionalità: a) nella interpretazione del testo normativo; b) nella valutazione del fatto accertato; c) nella scelta della decisione da assumere. La prima consiste nel margine di manovra nella comprensione del testo normativo. La seconda e la terza, invece, consistono nello spazio di valutazione o di scelta attribuito dalla regola all’arbitro (non al VAR). Ad esempio, nella rilevazione dei falli di gioco l’arbitro (titolare di discrezionalità tecnica) è chiamato a qualificare giuridicamente in maniera – s’intende – opinabile un fatto acclarato, però, in modo certo e indiscutibile: deve cioè stabilire se l’intervento sia stato effettuato con negligenza, imprudenza, o vigoria sproporzionata (il Regolamento tipizza le menzionate ipotesi, circoscrivendo lo spazio valutativo del direttore di gara nel dettare il significato di tali concetti), ovvero se ricorra-no le ipotesi di condotta violenta, DOGSO, SPA, ecc.

5) Gli arbitri sono funzionari amministrativi dell’ordinamento del calcio. Non sono giudici, men che meno regolatori (per intenderci, non possono creare regole, mascherandole con la forma delle ‘linee guida’ interpretative di quelle codificate). Devono limitarsi a dirigere le partite in modo che siano rispettate le regole che disciplinano il gioco. Per usare un’efficace metafora, si pensi al vigile urbano: come questi è incaricato di dirigere il traffico garantendo il rispetto delle norme del Codice della strada, così l’arbitro è incaricato di dirigere la partita garantendo il rispetto delle Regole del gioco.

6) Gli arbitri, ovviamente, possono commettere errori nell’accertamento del fatto. È invero ben possibile non vedere (o vedere male) un accadimento del gioco.

7) Proprio per ridurre al massimo gli errori è stato introdotto il VAR, strumento tecnico funzionale a garantire che l’accertamento del fatto non sia fallace, e quindi ad ottenere la decisione più corretta. Il VAR è dunque strumento di autotutela dell’ordinamento del calcio volto a realizzare un interesse generale: assicurare la regolarità della competizione.

8) Il VAR può/deve intervenire esclusivamente in quattro casi tassativamente tipizzati dalla norma (segnatura di una rete; assegnazione di un calcio di rigore; espulsione diretta; erro-re di identità). Lo prescrive il Paragrafo 1.1, del relativo Protocollo, secondo cui esso «può assistere l’arbitro soltanto in caso di “chiaro ed evidente errore” o “grave episodio non visto”».

9) Il VAR non ha alcun ruolo nella – ed alcun potere di – qualificazione giuridica del fatto, che spetta in via esclusiva all’arbitro. La prescrizione richiamata al punto 8 è integrata da quella secondo cui «La decisione iniziale assunta dall’arbitro non sarà modificata a meno che la re-visione video non mostri palesemente che la decisione era un “chiaro ed evidente errore”» (Paragrafo 1.3). Per leggere e comprendere entrambe, si deve adoperare la tecnica dell’interpretazione sistematica, e dunque tenerle insieme con quella di cui al Paragrafo 1.5, secondo cui «La decisione finale viene sempre presa dall’arbitro, o in base alle informazioni del VAR [rilevazioni oggettive] o dopo che l’arbitro ha intrapreso una “revisione sul campo” (OFR = On Field Review)». La «revisione video» è di esclusiva competenza dell’arbitro: soltanto a questi, invero, spetta di eventualmente ‘modificare’ la sua stessa decisione. Il VAR è tenuto, invece, soltanto a sollecitare la revisione laddove abbia un dubbio sul corretto accertamento di un fatto da parte dell’arbitro per «un probabile “errore chiaro ed evidente” o un “grave episodio non visto”» (Paragrafo 4). Il VAR, quindi, deve intervenire ogniqualvolta nutra anche solo un semplice ‘sospetto’ circa la sussistenza dell’errore o della svista nell’accertamento del fatto. Ad esso, in definitiva, compete esclusivamente di rimediare ad un errore nella rilevazione di un fatto mal effettuata dall’arbitro.

10) In conclusione, la qualificazione giuridica del fatto e la conseguente comminazione di eventuali sanzioni (tecniche o disciplinari), è di esclusiva competenza dell’arbitro. Il VAR ha il dovere giuridico di richiamare il direttore di gara a rivedere l’episodio viziato da errore di rilevazione del fatto, affinché questi, dopo aver riesaminato l’azione al video, possa compiutamente procedere alla qualificazione giuridica (negligenza, imprudenza, vigoria sproporzionata, DOGSO, SPA, e così via)".


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