Clemente di San Luca a TN: "Sul Var grande confusione, commenti gravi e inaccettabili in tv"
Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, commenta così il momento di casa Napoli.
"Dalla partita di Torino sono venuti segnali confortanti. Per la prima volta abbiamo contato 5-6 palle gol vere (Lukaku, Kvara, Oliveira e Simeone, oltre al bel gol di McTominay e a quello annullato a Neres). Inoltre, il centravanti belga appare in crescita. Resta, però, il fatto che manifestare dubbi e perplessità non è affatto espressione di «autolesionismo». Anzi, l’opposto. Perché non bisogna confondere la gioia per le vittorie con la consapevolezza di esprimere un gioco d’attacco ancora alquanto asfittico. A prescindere dal giudizio estetico (per definizione soggettivo), o dalla noiosità (anche questa del tutto soggettiva), fin qui mai – nemmeno nel match coi granata, in cui s’è registrato un obiettivo miglioramento – abbiamo dato la sensazione di essere nettamente più forti dell’avversario, pur disponendo di una rosa di altissima qualità.
Piuttosto rassicurati dalla solidità difensiva, noi tifosi stiamo lì a soffrire, sperando che ci vada bene. Ci disponiamo a vedere la partita abbastanza sicuri di non prendere gol, ma mai senza consistenti incertezze sul riuscire a farne. Insomma, l’idea sembra essere questa: in un modo o nell’altro, prima o poi, un gol lo facciamo, e dopo aver segnato ci chiudiamo. Il secondo tempo col Toro ha messo a dura prova coronarie ed intestino. Non il fegato, perché s’è vinto. Tutti a chiederci, a gran voce: «Perché non salgono? Ma Conte non vede che ci stanno schiacciando nella nostra trequarti? Così rischiamo seriamente di prendere gol!». Difesa a oltranza. A vederla con gli occhi dello spettatore neutrale, quasi da squadra che lotta per non retrocedere. Alla fine, un gran sospiro di sollievo. La gioia per il primato mantenuto. Mitigata, però, dalla percezione profonda di un senso di ‘limitatezza’, benché sempre assistito dalle favorevoli congiunzioni astrali (non tanto quella di Adams, quanto l’occasione di Coco a ricordarci la traversa di Dovbyk).
Siamo primi in classifica, sì, e finché dura dobbiamo godercela. E ce la godiamo, palpitando, e gufando mentre guardiamo le partite degli avversari. Ma non è affatto «inconcepibile» restare perplessi per il futuro. Di regola, il campionato non si vince se l’attacco non funziona a dovere, pure se si ha una difesa granitica. E siccome vediamo pallone da 60 anni, sappiamo bene che – pur augurandoci di riuscire a conservare la vetta della classifica in ogni modo lecito (chist’ è ’o tifoso!) – sarà assai difficile rimanere primi fino in fondo se non miglioriamo il gioco offensivo.
L’imminente doppia sfida con la Lazio sarà comunque un’illuminante cartina di tornasole.
2. Si continua a fare gran confusione sulle regole, anche fra chi, disponendo di un elevato livello culturale, non dovrebbe farne. Evidentemente, non è chiara la differenza tra i due diversi approcci che caratterizzano l’opera dei giuristi. Questi, normalmente, lavorano de jure condito, ragionando cioè sulla normativa vigente. Talora lo fanno pure de jure condendo, prefigurando linee di riforma. È vero. Ma non è diritto. Si tratta di aspirazioni, sia pur diffuse nell’opinione pubblica.
In definitiva, si fa un cattivo servizio all’attuazione del principio di legalità, se si parla del VAR facendo riferimento a norme non in vigore, e cioè al diritto ancora da creare (quand’anche la sua elaborazione fosse in corso, e la sua codificazione fosse largamente desiderata). Laddove si afferma che è «assurda» la versione secondo cui «il protocollo non permette al VAR di richiamare l’arbitro», e che non si capisce «in che modo il VAR possa rendersi utile se poi affidiamo tutto all’unico arbitro in mezzo al campo», si sta legittimamente formulando un auspicio di cambiare la regola. Tuttavia, si contribuisce ad alimentare l’ambiguità nell’applicazione di quella vigente.
Un’ambiguità di cui si giovano solo coloro che ambiscono a lasciare molto potere – e incontrollabile – nelle mani degli arbitri. Basti guardare ad alcuni commenti televisivi sui due ineccepibili interventi del VAR in Parma-Lazio e Como-Monza: gravi ed inaccettabili per il fatto di adoperare quale parametro di legittimità, non la regola, ma il ‘senso del gioco’. «Questo non è calcio». E quale sarebbe? Quello che corrisponde alla loro opinione?
Per esempio, trovo veramente incomprensibile che non sia stata ancora assunta la regola del ‘tempo effettivo’, lasciando così la dimensione del recupero ad un insopportabile arbitrio del direttore di gara. Ma, appunto, si tratta di un auspicio, formulato in sede di ‘politica del diritto’. Certamente non è manifestazione di ‘scienza giuridica’"