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Guido Clemente di San Luca a TN - Cambi sbagliati di Spalletti e stadio 'molle': analisi del pari con l'Inter

di Redazione Tutto Napoli.net

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo, Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso per Tuttonapoli le sue considerazioni successive a Napoli-Inter.

Dopo un paio di giorni, per ragionare a freddo. Risveglio amarissimo domenica mattina. Senza voce e in preda a una strana sensazione di rabbiosa frustrazione mista ad avvilimento. Quel senso di abbattimento che ti viene quando in due ore passi dalla eccitazione allo sgomento. Provi a razionalizzare, ma alla fine ti resta solo l’amaro in bocca. Pochissimi commenti – secondo me – hanno messo il fuoco dell’attenzione sul vero fulcro della mancata vittoria. Alla vigilia avevo scritto, dopo una premessa, che ci servivano 3 cose. Esaminiamo un punto alla volta.

1) La mia premessa era che gli azzurri avrebbero dovuto corrispondere in campo all’amore travolgente della città, aggiungere alle doti tecniche ed al gioco brillante un atteggiamento pugnace e feroce, capace di rappresentare l’impeto del popolo azzurro. Ebbene, l’hanno fatto solo in parte. E per responsabilità non solo loro. Anzitutto, quell’amore travolgente non s’è sentito. Lo stadio era ‘molle’. È inutile, senza gli ultrà la capacità di spingere la squadra a superare gli ostacoli si riduce sensibilmente. Sarebbe ora che se ne rendano conto: le battaglie ideologiche fini a se stesse sono inutili, e anzi autolesioniste. Ma poi stavolta il mister c’ha messo del suo. E non poco. Perché? Rinvio al punto successivo.

2) La prima cosa necessaria – dicevo – è abbandonare i preconcetti nel valutare le prestazioni dei nostri. Purtroppo continuo a leggere valutazioni basate su questi. Sia in negativo (su Mario Rui, Zielinski, Elmas, Insigne): per fare un esempio, il gol preso non è errore di Rui, è assenza di kairos (rinvio al punto 3). Sia in positivo (su Lobotka, Koulibaly): al quarto d’ora della ripresa, lo slovacco era stanco (tant’è che s’è infortunato) e si vedeva, così come il comandante, accanto a recuperi prodigiosi, ha sbagliato alcuni appoggi elementari sanguinosi. Per valutare compiutamente, bisognerebbe sapere chi, secondo le indicazioni del mister, ha fatto ciò che doveva, e chi eventualmente non l’ha fatto. Ma quali siano state tali indicazioni – prima e durante la partita – non ci è dato sapere.

Mi domando perché nessuno abbia posto a Spalletti domande sul disegno tecnico-tattico che avrebbe seguito. Quanto ai cambi, si può dire in primo luogo – ma questo onestamente solo col senno di poi – che al posto dell’infortunato Politano doveva inserire o Malcuit, oppure Ounas. Elmas a destra è assai meno efficace. In secondo luogo, e soprattutto, si dovevano fare i cambi giusti al quarto d’ora della ripresa. Avrebbero dovuto entrare, versimilmente, Mertens per Zielinski, Demme per Lobotka e Juan Jesus per Mario Rui. E se proprio si voleva mantenere l’ultimo slot, alla mezz’ora Anguissa per Fabian. Così avresti messo in campo forze fresche sostanzialmente equivalenti, modificato solo lievemente l’assetto tattico e dato alla rosa – elemento da non sottovalutare – la conferma che tutti sono partecipi della comune avventura sognante. E, invece, Spalletti dal 60°, per un quarto d’ora circa (l’ho verificato precisamente dalla Nisida), è stato a parlar fitto con Menichini, quasi senza guardare la partita. Risultato: un cambio al 74° e tre a meno di 7-8 minuti dalla fine, due completamente sbagliati, rischiando di perder la partita, pur avendo avuto solo noi palle gol vere. Perché sbagliati? Perché delle due l’una. Vuoi tenere il risultato? Allora metti dentro Demme, non Ounas. Vuoi provare a vincere? Allora non togli due fra i migliori in campo. Per generare devastazione in campo avverso, insieme con Mertens devono poter dialogare Insigne e Osimhen. Mi domando perché non sia stato chiesto al mister di spiegare come mai abbia contraddetto la filosofia che – assai condivisibilmente – ha fin qui dichiarato di seguire. Quella secondo cui, coi 5 cambi, il gioco è diventato un altro, visto che al 60° si può cambiare radicalmente la partita.

3) La seconda cosa indispensabile è il kairos. E, ahimè, c’è stato per loro, non per noi. Le nitide occasioni di Zielinski, Osimhen ed Elmas avrebbero meritato miglior sorte. E Dzeko sbagliando il colpo di testa fa triangolo con lo stinco di Di Lorenzo per poter calciare in porta e segnare.

4) Infine è imprescindibile rendere il più possibile marginale l’arbitrio nelle decisioni di arbitri e Var. Altrimenti la competizione non viene svolta nell’equanime rispetto delle regole. E Doveri ha arbitrato in pieno spregio applicativo di queste. Far giocare dopo spinte evidentemente plateali (a Insigne, a Osimhen) non è accettabile.

Per concludere, non è affatto finita. Bisogna guardare davanti e non indietro. Pensare a chi insegue non ha senso. Primo, perché il 4° posto è obiettivo non agonistico, bensì puramente economico-mercantile (rilevantissimo, per carità, ma non sportivo). Secondo, ma non per importanza, perché se lotti fino in fondo per il titolo, pur se non vinci, difficilmente fallisci la qualificazione Champions. Dunque, restiamo concentrati sul solo scopo per cui vale la pena battersi. La vittoria finale. Può ancora succedere tutto. E se alla prossima battessimo il Cagliari, e le milanesi pareggiassero? È improbabile, lo so. Ma è anche impossibile?

Ho solo una preoccupazione: che non vincendo con l’Inter, non soltanto abbiamo perso (malamente) una grande occasione, ma – non facendo i cambi adeguati – rischiamo seriamente di allentare l’entusiasmo ed il coinvolgimento di tutti nella grande causa.


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