Guido Clemente di San Luca a TN: "Disfattismo inutile, analizziamo le difficoltà in quattro punti"
Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso alcune considerazioni sul momento di casa Napoli.
Lo sconcerto ed il disorientamento sembrano essere i sentimenti prevalenti nel popolo azzurro. Dov’è finita la squadra campione d’Italia? La bellezza del suo gioco unita alla potenza della sua efficacia? È opportuno mettere in fila i fatti, e poi provare a capire quale possa essere la loro spiegazione. Senza disfattismo. Conservando ragionevolezza. E soprattutto, pensando a conseguire il maggior bene possibile. Contribuire a peggiorare il quadro giova solo ai ‘nemici’, non al Napoli.
1. I fatti che obiettivamente si osservano sono i seguenti. a) Una forma atletica palesemente deficitaria in molti giocatori importanti (Anguissa su tutti). b) Una certa qual ‘ibridezza’ tattica, come se i giocatori – peraltro non assistiti da condizioni fisiche adeguate – fossero confusi fra il seguire le linee di gioco consolidate e quelle che sarebbero (perché si intravedono con molta fatica, né sono state dichiarate ed illustrate alla stampa) dettate da Garcia. c) Alcune sostituzioni veramente incomprensibili (la più macroscopica quella di Kvara con Zerbin a Genova, avendo a disposizione Lindstrom ed il Cholito). d) Una comunicazione del tecnico scarsamente lineare nei contenuti [che vuol dire che l’entrata di Zerbin si giustifica con il suo impegno negli allenamenti? Che Lindstrom ed il Cholito, o forse persino Kvara, non s’impegnano?], per di più condita con un atteggiamento irridente ed irritante per la spocchia esibita verso gli interlocutori e con quasi nessuna consapevolezza dello specialissimo rapporto fra squadra e città. e) La classifica, che dopo 4 giornate segna già 5 punti dall’Inter e 3 dalla Juventus. f) La conferma di avere una rosa fortissima (lo dimostrano, se ce ne fosse bisogno, le giocate sopraffine di Zielinski, Raspadori e Politano). g) La ondivaga condotta della squadra in campo: nel primo tempo con la Lazio, al di là di qualche sfumatura, ho rivisto i caratteri salienti della squadra di Spalletti (aggressività nel recupero palla, triangolazioni rapide, voglia di asfaltare l’avversario); non si riesce a spiegare la metamorfosi nel secondo tempo, proseguita per circa 70 minuti a Genova, e in gran parte della seconda frazione a Braga.
2. Osservando da fuori, è forse presto per rinvenire le possibili spiegazioni dei fatti rilevati. Per adesso possono soltanto formularsi alcune supposizioni. a) Almeno apparentemente, il feeling fra Garcia e gran parte della squadra non è ottimale (anche se il finale di Genova, arrembante – ma confusionario –, e l’abbraccio dei giocatori dopo il gol di Di Lorenzo a Braga, sembrerebbero mostrare il contrario); bisogna aspettare ancora un po’, l’hashtag #GarciaOut mi sembra avventato e pericoloso. b) Il fatto che alcuni giocatori fondamentali (Anguissa, Lobotka, Kvara, Osimhen, Mario Rui e/o Oliveira) siano lontani parenti di quelli ammirati lo scorso anno può spiegarsi solo in due modi: o non stanno bene fisicamente (a me paiono a terra, anche il linguaggio dei loro corpi restituisce opacità), o non hanno ben capito cosa chiede loro Garcia; nell’uno e nell’altro caso, comunque, la responsabilità è di quest’ultimo. c) Il quale è stato scelto da ADL, giacché adesso si deve vedere come questi reagirà (per ora tace). Tutti sanno – anche se molti si guardano bene dal dichiararlo in pubblico – che la vera causa dell’andata via di Spalletti è da rinvenirsi nell’insofferenza nel relazionarsi col padrone, divenuta per il mister non più sopportabile. Era stanco, non di allenare (questa la scusa ufficiale per non dire la verità che avrebbe guastato il clima di festa per la vittoria), ma del rapporto con lui. Avendo conseguito risultati indiscutibilmente notevoli, il Presidente, fin qui, è stato ritenuto esente da qualsiasi osservazione critica. Tuttavia – come recita l’antico adagio – ubi commoda, ibi incommoda: quando le cose vanno bene, elogi; quando vanno male, critiche.
3. Al di là di tutto, latita ancora una volta la legalità arbitrale. Senza voler trovare alibi per la squadra, il gol del vantaggio genoano è indiscutibilmente irregolare per fallo su Anguissa. C’era poi un rigore inopinabile per fallo su Osimhen, ed un non implausibile rigore per fallo di mano di Bani (ad esempio, quello dato alla Roma contro l’Empoli, al primo minuto e senza batter ciglio, è caratterizzato da una non dissimile qualificazione di plausibilità/implausibilità). Il signor Fabbri è uno dei più limpidi esponenti della (inaccettabile) opinione che vuole legittimare il ruolo di cui gli arbitri indebitamente si appropriano: riconoscersi un potere di interpretazione delle regole non contemplato dalle disposizioni normative. Il più influente commentatore tecnico delle decisioni arbitrali (solo perché scelto – non si sa bene come e perché – dalla attualmente principale piattaforma che trasmette il campionato) continua a dare spiegazioni raccontando di regole che spesso letteralmente inventa (e che i diversi addetti ai lavori, in apparente inconsapevolezza, prendono per esistenti ed efficaci): su tutte quella della «valutazione di campo», che inibirebbe l’intervento del VAR. Salvo poi a giustificarlo in alcuni casi. Definiti di volta in volta «eccezionali», sulla base dell’esclusiva valutazione, del tutto arbitraria, dell’ex arbitro (il gioco di parole è voluto) oracolo del Signore.
4. Va detto, infine, che, delle tre condizioni indispensabili per vincere – una squadra che gioca bene, forte tecnicamente, tatticamente e fisicamente; la garanzia di uguale rispetto delle regole del gioco; e l’esser assistiti da kairos (il «momento opportuno» degli eventi) –, l’anno scorso godemmo a pieno della prima, tanto che divenne ininfluente la seconda. Ed anche il kairos fu presentissimo. A giudicare dalle prime partite, quest’anno sembra meno. Emblematiche al riguardo le tante occasioni sfuggite ad Osimhen a Braga (l’anno scorso finivano sempre nel sacco). Speriamo che il palo colto da Pizzi allo scadere sia foriero di un’inversione di tendenza. A cominciare da Bologna. Dove ci auguriamo di veder confermato quel trend di miglioramento di cui pur si sono colti modesti e assai timidi segnali in Champions.