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Guido Clemente di San Luca a TN - "Era più rigore quello su Mertens non dato da Chiffi, o quello su Cuadrado?"

di Redazione Tutto Napoli.net

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo, Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso per Tuttonapoli le sue sensazioni dopo Napoli-Hellas.

"La notte fra domenica e lunedì non ho chiuso occhio. Sono stato malissimo. E in fondo all’anima (mi verrebbe di dire di gran parte della città) ancora v’è traccia di questo malessere. Come me (stando a quel che riferisce la totalità di coloro che ho sentito), moltissimi – direi tutti gli autentici – tifosi azzurri. Anche soltanto per riuscire a prender sonno, mi ripetevo che in fondo si trattava soltanto di una partita di calcio. E che, razionalmente, c’era da vergognarsi per la risibilità della questione dinanzi alla tragedia della funivia che aveva dolorosamente funestato la giornata.

Eppure tant’è. Sebbene fossi preparato, avendo previsto l’esito infausto prima della penultima giornata, e dichiarato che avrei voluto essere smentito, la delusione è fortissima. Nel profondo pensavamo che sarebbe finita come una bella favola. Che il cattivo sarebbe stato sconfitto ed il bene avrebbe trionfato. E invece no. Come quasi sempre ci tocca, è finita male.

Ho ascoltato con attenzione i commenti nei salotti televisivi locali e nazionali. Ho letto di tutto su giornali, siti internet e social vari. Passati un paio di giorni, per lasciar sedimentare rabbia e amarezza, è ora indispensabile provare a fare un po’ di ordine. Anche se, però, sulla sola base dei pochi elementi di conoscenza di cui si dispone. Perché tutto è sotto l’oscura coltre del silenzio-stampa. La domanda che prevale su tutte è la più ovvia, e perciò banale. Ma come è potuto accadere? Nessuno si capacita. Come è spiegabile che una squadra nettamente più forte – con motivazioni (individuali e collettive) incomparabili con quelle degli avversari, e che aveva dato prova di essere la più in forma di tutte – perda in quella maniera? Ne ho sentite tante.

Presuntuosi, erano convinti di averla già vinta. Sulle gambe, fisicamente a pezzi, senza adeguata preparazione. Deconcentrati, svogliati. Senz’anima, senza nerbo, senza dignità, senza motivazioni. La partita è stata tatticamente impostata in maniera sbagliata. Come si può far giocare quel calciatore, invece di quell’altro? La verità è che dietro ci deve essere qualcosa: il Presidente ha dato ordine di perdere; no, ha voluto perdere l’allenatore, complice l’intera squadra, per dargli una lezione (e infatti non hanno esultato come ci si sarebbe dovuto attendere al gol di Rahmani, e il mister non ha urlato come di consueto da bordo campo). Di tutte, di più. Chi più ne ha, più ne metta. Sono solo dei mercenari. Si devono vergognare. Non sono degni di vestire la maglia azzurra. Hanno tradito un popolo. Adesso si deve fare una pulizia radicale.

È del tutto comprensibile che, per trovare una ragione al dolore, si vada alla ricerca di spiegazioni che riescano a lenirlo, che in qualche modo rasserenino l’anima, che, almeno in parte, la mettano in pace. Ma è plausibile che non fossero concentrati? Che non avessero motivazioni? Che abbiano sottovalutato gli avversari? Che abbiano ordito una trama così sofisticata da costruire un percorso di fantastica rimonta per poi buttarla via deliberatamente, per fare un dispetto ad AdL? E con evidenti conseguenze autolesionistiche: in termini di prestigio personale, di possibilità di disputare la competizione più prestigiosa, di mancati guadagni, di riduzione del loro valore commerciale e dunque della capacità contrattuale? Ma suvvia, siamo ragionevoli!

Io non penso affatto che siano scesi in campo con «morbidezza dell’animo». Non è vero che la squadra è «arrivata spompata e scarica mentalmente al traguardo». È vero invece che, sì, se la sono «fatta sotto». Avevamo alla portata una grande occasione: andare in Champions, buttando fuori la Juve. L’hanno malamente sprecata perché paralizzati dall’ansia. Purtroppo l’avevo previsto. Avevo scritto che l’unico vero limite di questa squadra è la tenuta psicologica.

Non ho alle spalle studi di psicologia. Ma non sono indispensabili per capire che l’angoscia emotiva non di rado riempie testa e corpo di paura e di ansia, finendo per letteralmente ‘imprigionare’ chi ne è affetto. Si legge che la causa possa rinvenirsi proprio nella «cultura del rendimento». Quando si è in preda di questo stato mentale, la preoccupazione diviene paradossale e inibisce la performance. Ho verificato: il fenomeno è stato da tempo scientificamente studiato.

Certo, è nelle situazioni di disagio e di pericolo che si rivela il vincente. Perché sa assumere il comportamento giusto per venirne fuori. E non si lascia sopraffare dagli eventi, che essendo in corso non danno il tempo di riflettere e reagire. Riesce a dominare il rischio d’impotenza. Nel tennis lo chiamano «braccino corto» (distorcendo il significato letterale della locuzione, che invece allude ad una persona avara). Per riferirsi al grande combattente che, dovendo lottare su ogni palla, finisce per fare i conti con l’io consapevole. Giunto il momento decisivo, inconsciamente entra nel terrore di sbagliare. Proprio quando ti senti più forte, e addirittura invincibile, viene assalito dalle sensazioni negative, perdi fiducia, e la paura di sbagliare ti risucchia in una spirale perversa: cominci a sbagliare, lo scoramento cresce e sbagli sempre più. Nella testa si fa strada l’incubo, che diventa realtà.

Solo chi non ha fatto sport agonistico può non capire quanto la tensione emotiva sia in grado di ‘squagliare’ la prestazione. Non c’entra l’anima, la voglia, la preparazione tattica della partita, ma la fragilità psicologica. Bastava guardare le aggrottate sopracciglia di Insigne ogni volta che veniva inquadrato. Ma che c’entra la concentrazione quando tutti sbagliano passaggi elementari? Si sbagliano quando sei contratto! E ne hanno sbagliati a decine, di semplicissimi. Quasi tutti, e soprattutto quelli fra loro tecnicamente più bravi.

Dunque questa squadra ha confermato che è fatta da calciatori bravi ma non vincenti, privi di ‘attributi’. Resta cioè impietoso il giudizio: era una gara che il Napoli «avrebbe dovuto azzannare alla giugulare». Ha invece erroneamente creduto, e stoltamente, in «un atteggiamento remissivo del Verona». Perciò, seriamente, dobbiamo essere severi con noi stessi, senza cercare giustificazioni. Avevamo a disposizione una grande occasione e non abbiamo avuto la capacità di coglierla. Con chi te la vuoi prendere se non sei stato capace di vincere in casa con un Verona senza stimoli? Possiamo e dobbiamo prendercela solo con noi stessi. Col nostro limite. Palese, manifesto, conclamato. Ebbene sì, abbiamo perso la Champions perché alla fine siamo stati fragili. Okay. E quindi?

Beh, la cultura protestante cui doverosamente attingiamo per essere – come richiesto dai rigorosi benpensanti di turno – intransigenti con la nostra coscienza non può, però, essere adoperata ad intermittenza. Perché mai i limiti rispetto al ‘dover essere’ devono valere solo in direzione della dimensione individuale («affetti da sconfittismo»), lasciando nell’oblio l’agire illegittimo della dimensione pubblica? Perché dovremmo perseverare nell’auto-critica spietata (proprio noi, più epicurei che protestanti), trascurando l’iniquità del sistema, che agli altri permette di non essere perfetti?

A me pare che sia stato fatto di tutto per farci arrivare all’ultima in quella situazione. Con strategia lucidamente consapevole del nostro limite. Ed ecco che il Verona – che nelle ultime 12 aveva raccolto la miseria di 7 punti, con 8 sconfitte, 4 pareggi e una sola vittoria – gioca con cattiveria agonistica come non faceva da tempo (dal 3 marzo, quando andò a vincere 3 a 0 a Benevento), senza che venga offerta una spiegazione plausibile, postandosi poi la foto di gruppo come avessero vinto chissà quale trofeo. Di più. Tralasciando ogni altro episodio fra i tanti occorsi nella stagione (a decine, come d’abitudine), ma era più rigore quello su Mertens non dato da Chiffi, o quello su Cuadrado dato da Calvarese (l’hanno ricordato, fra gli altri, da sùbito Ziliani e ieri la Salvia)? Mi piacerebbe vedere un po’ più di coerente critica ‘protestante’ all’indecente sistematico modo di disapplicare le regole, con una protervia e un’arroganza che fanno orrore sia ai calvinisti sia ai luterani.

Fra le altre cause della disfatta – l’abbiamo menzionata – vi sarebbero anche le manifeste incapacità dell’allenatore. Nei confronti del quale tutti coloro che sembravano pentiti di essersi infondatamente scagliati contro di lui, hanno ripreso a lanciare strali velenosi. Non è il momento di ripetere le considerazioni che rendono improprie e preconcette le critiche a Gattuso. Nessuno è esente da errori. E non nascondiamo che tale sia apparsa la non utilizzazione di Demme (ma, almeno fin qui, non ci è dato sapere perché: ce l’ha impedito una dissennata scelta nella comunicazione).

Quello che non ci si può esimere dal fare, con stile sobrio e tono sommesso, è l’elogio di una persona per bene. Un esempio virtuoso di onestà e di rifiuto della ipocrisia. Nessuna agiografia, per carità. Semplicemente, il riconoscimento che i suoi meriti obiettivi sono stati di gran lunga maggiori degli errori. Caro Rino, sono qui a chiederti scusa a nome di quei moltissimi tifosi che hanno capito quanto tu sia, non soltanto un bravo allenatore, ma soprattutto una gran brava persona. Dell’uno e dell’altra abbiamo un gran bisogno e – ne sono certo – perciò ti rimpiangeremo".


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