Guido Clemente di San Luca a TN - "Garcia dichiari di puntare allo scudetto!"
Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso alcune considerazioni sul momento di casa Napoli.
Come quasi tutti i tifosi azzurri, vivo una stagione pensierosa, ed i pensieri sono affollati di dubbi. Ne riferisco tre.
1. Vogliono buttarci fuori dallo stadio? Perché di fatto ce lo hanno espropriato. Allo stadio non si può più andare per vivere un momento comunitario. Per un’ora prima della partita, musica a palla che spacca i timpani, generando assoluta alienazione. Dj sfrenati che occupano l’ultimo spazio collettivo rimasto. Sparano musica (sedicente tale) a decibel insopportabili, impedendo di parlare, per poi interrompere l’inno a metà. È questo che vogliono? Ridurci a dementi incapaci di intelligere e comunicare? Se è così, dobbiamo far partire una dura battaglia contro questa inciviltà.
D’altra parte, la reclame di Vieri sul pezzotto. Ulteriore insopportabile manifestazione di inciviltà, travestita da virtuosa guerra alla illegalità. Chi sono i veri «criminali»? Certo, la malavita che eventualmente ci sta sotto. E, sia chiaro, pure i benestanti che evadono. Vanno criminalizzati sì (come sempre, non solo su questo aspetto). Ma – ditemi – è giusto negare alle moltitudini di povera gente il diritto di svagarsi almeno un po’ con il pallone? Chi è il vero criminale, chi ha legalmente mercificato il sistema in maniera immorale, oppure chi si arrangia violando una legislazione iniqua, per potersi godere la partecipazione emotiva ad un bene collettivo, qual è il calcio, la cui fruizione in sé – lo sostengo invano da anni – rappresenta un servizio pubblico, per godere del quale dovrebbe valere il principio di progressività delle imposte (art. 53, co. 2, Cost.)?
2. Veniamo all’amato Napoli. Posso suggerire a Garcia di cambiare parola d’ordine? Dichiari senz’indugio che puntiamo allo scudetto! Dobbiamo difenderlo! Questo non significa che, se non ci riusciamo, avremo fallito. Puntare ad un obiettivo, e battersi per conseguirlo, è cosa da non confondere con «la vittoria è l’unica cosa che conta», da perseguire ad ogni costo. Ciò detto, basta col tirare la volata a Conte (se proprio si vuole esonerare Garcia, si deve pensare a qualcun altro – che so? – un Tudor, o Mazzarri). Lo ripeto: per piacere, sia per cultura, sia per ragion pratica, Conte no.
In ogni caso, trovo insopportabile il clima in cui siamo finiti, quello di sparare sulla Croce Rossa. Garcia ha certamente palesato dei difetti (e non li nascondiamo), ma crocifiggerlo a prescindere, su pregiudizi indimostrabili, è veramente intollerabile. Chi può sapere se si sia aggiornato, oppure no? Che non l’abbia fatto è una notizia, o un’opinione? Ma poi che significa ‘aggiornato’? Chi ha stabilito quale sia il calcio moderno? Si sprecano analisi tecnico-tattiche che illustrerebbero la diversità dell’area di campo ove si farebbe il possesso palla, il pressing sugli avversari, la riconquista del pallone. Ma, scusate, la preparazione atletica? Siamo sicuri che i risultati di tutte queste analisi non trovino causa nella incapacità fisica di realizzare quel progetto di squadra più alta?
Domandiamoci. Perché con la Lazio abbiamo giocato un primo tempo in cui nessuno si è accorto che non ci fosse più Spalletti sulla panchina del Napoli? E perché questo è più o meno quello che abbiamo fatto nel secondo tempo col Milan? E in fondo anche col Real Madrid, nonostante la sconfitta? Se, sull’assist di Kvara, Politano arriva una frazione di secondo in anticipo, ci sarebbe stato il secondo gol rossonero e quel deprimente quarto d’ora finale del primo tempo, che è rimasto così male impresso nelle menti da far dire, impropriamente, che il Milan ha dominato l’intera frazione di gioco? E se, contro la Fiorentina, Osimhen avesse buttato dentro la palla del 2-1? Insomma, sì, con i ‘se’ non si fa la storia, ma forse un po’ di maggior equilibrio nei giudizi non guasterebbe.
3. Il terzo pensiero è sul mio consueto cavallo di battaglia: la illegalità proditoriamente legalizzata. Dai ‘governanti’ privati del servizio pubblico ‘fruizione del calcio’ (e pure da quelli pubblici, ahimè) s’è consolidato il riferimento a fattispecie normative inesistenti. È un continuo ripetere concetti del tutto assenti nel Regolamento, come fossero norma vigente, allo scopo di aumentare il potere degli arbitri, allargando a dismisura gli spazi del loro arbitrio, così legalizzato di fatto.
Si pensi alla «valutazione di campo». Il VAR – affermano – non può intervenire quando c’è una valutazione di campo, che spetta all’arbitro in via esclusiva. È falso. Non sta scritto da nessuna parte. Oppure al «metro arbitrale». Non esiste una regola che lo contempli. Il metro non può che essere il Regolamento. Un fallo o c’è, oppure non c’è. Non può dipendere dal giudizio arbitrario del singolo arbitro. Non si può dire – come fanno molti giocatori – «che fallo è?», come se la sussistenza di esso dipendesse dalla più o meno benevola volontà del direttore di gara. Su fatti analoghi non possono esserci valutazioni tecniche diverse. Non si può tollerare che un arbitro «lasci giocare» più di un altro. Può esservi interpretazione sulla sussistenza di un fatto falloso, non sulla fattispecie normativa che disciplina il fallo. Il «lasciar correre», o il «lasciar giocare», che riempiono i commenti dei telecronisti, sono vere e proprie istigazioni alla violazione delle regole.
Così come la rilevanza che danno alla «lieve entità» del contatto. Nelle regole non ve n’è traccia. La regola 12 così recita: «Un calcio di punizione diretto è assegnato se un calciatore commette una delle seguenti infrazioni contro un avversario in un modo considerato dall’arbitro negligente, imprudente o con vigoria sproporzionata: - caricare; - saltare addosso; - dare o tentare di dare un calcio; - spingere; - colpire o tentare di colpire (compreso con la testa); - effettuare un tackle o un contrasto; - sgambettare o tentare di sgambettare». Punto. E basta.
Poi la norma spiega con precisione in cosa consistano la «negligenza» [«significa che il calciatore mostra una mancanza di attenzione o considerazione nell’effettuare un contrasto o che agisce senza precauzione»], la «imprudenza» [«significa che il calciatore agisce con noncuranza del pericolo o delle conseguenze per l’avversario»], e la «vigoria sproporzionata» [«si intende che il calciatore eccede nell’uso della forza necessaria e mette in pericolo l’incolumità di un avversario»].
Questo è. Né più, né meno. L’entità del contatto è un’invenzione. Se la introducono, è soltanto per propinare subdolamente una legalità illegale, che consenta di fare ciò che più loro aggrada.