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Guido Clemente di San Luca a TN: "Impietosa canea sui calciatori moltiplica la rabbia, la trovo indegna"

di Redazione Tutto Napoli.net

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, commenta così il momento del Napoli: 

"L’impietosa canea scatenata sui giocatori moltiplica la rabbia che ho provato dentro, durante la partita di Empoli e al suo termine. Sì, la moltiplica. Sfogarla senza ritegno non serve affatto a scaricarla, la moltiplica. La rabbia fa perdere il controllo di sé e la lucidità nel giudizio. Perciò ritengo che sia controproducente, oltre che indegna. Perché la mancanza di pietas (e cioè della «disposizione dell’animo a sentire affetto e devozione per ciò che è considerato sacro», e per i tifosi l’ideale azzurro – su cui tornerò – è tale) inquina lo stato d’animo, rivelando quanto questo, in certi frangenti, si consegni ad una condizione dominata dalla radicale assenza di logica. E pure perché essa è indice di aridità umana, azzerando del tutto la capacità empatica. Tutto ciò non ci appartiene.

1. Il tifoso. Quello vero, quello per cui – dentro, sopra, sotto e intorno a sé – tutto è azzurro (la strada su cui cammina, il divano o la poltrona su cui riposa, il letto in cui dorme, l’acqua che beve o in cui nuota, la tastiera del pc su cui clicca, lo spaghetto ai frutti di mare, la pizza o il babà che mangia, e così via, insomma, tutto ciò che vede, che ascolta, che gusta, che odora, che tocca), si cura poco di quanto siano virtuosi il Presidente, il Direttore sportivo, l’allenatore, i giocatori, oppure se la squadra giochi o no un calcio bello e «propositivo» (come si dice oggi, con un neologismo semantico obiettivamente insopportabile).

Tifo = Passione. Al di là di tutto. E quindi, sino a che sarà possibile, il vero tifoso continuerà a fare calcoli e tabelle affinché gli azzurri possano conseguire il miglior piazzamento raggiungibile. Come dice Calzona, fin quando l’aritmetica non lo escluderà, dovevamo puntare al 5° posto, per entrare nella prossima Champions. Senza dimenticare che potrebbe esser sufficiente persino il sesto.

Considero disdicevole chi mette in discussione la dignità dei giocatori, il loro amore per la maglia. Non v’è misura in chi predica l’azzeramento della rosa, il dover fare tabula rasa. Senza memoria e riconoscenza non c’è vita. Questi giocatori ci hanno regalato il terzo scudetto dopo più di trent’anni. Nessuno si capacita di come sia stato possibile un crollo così clamoroso. Chi però ha vissuto gli spogliatoi (anche se del calcio minore e amatoriale), sa bene che per vincere si devono combinare ‘chimicamente’ tante cose. Quando si commettono errori imperdonabili nell’impianto societario – prima inebriati dal successo e poi obnubilati dal delirio di onnipotenza –, può accadere che le cose precipitino a catena, in una spirale inesorabile e perversa.

Se ad un ritiro precampionato fatto sostanzialmente di ‘assenze’ (di capacità rigeneratrice delle motivazioni, di intensità nella preparazione atletica, di sensibilità nel cogliere desideri e legittime aspettative dei calciatori, di un progetto tattico ben delineato, ecc.), si sommano congiunture negative, astrali e non (gol ‘mangiati’ che sembravano fatti, tiri usciti di un nulla che l’anno scorso finivano regolarmente nel sacco, infortuni, assenze forzate per impegni africani, improvvide interferenze societarie, scelte dell’allenatore poco ponderate), che azzerano il kairos della scorsa stagione, e direzioni arbitrali illegittime sempre più frequenti, è pressoché fatale che si comprometta la tenuta mentale. Tutto ti appare contrario e si perde la fiducia.

Per sempre? No, affatto! Non diventi un brocco soltanto perché, sfiduciato da tutto il negativo intorno a te, hai finito per svuotarti dentro. Dopo aver vinto, è sempre difficile conservare l’alto livello maturato. Certo, la differenza di punti è veramente enorme e perciò difficilmente spiegabile. Ai tantissimi errori commessi, ed alle contingenze negative (nella nostra lingua meravigliosa si dice «O cane mozzeca ’o stracciato», oppure «N’copp ’o ccuott’ acqua vullent’»), s’è aggiunto che i giocatori sembrano nella testa rassegnati. Ma nel cuore forse no. Pertanto, vediamo anzitutto se riusciamo a raddrizzare il corso delle cose in questo finale di stagione. E poi, se proprio dobbiamo già pensare alla prossima, lo si faccia con le idee chiare, senza epurazioni affrettate.

E, soprattutto, avendo nitidamente presente l’ideale azzurro, che per noi è – lo sono tutti gli ideali – «concepito dallo spirito e dall’intelletto come bello e perfetto». E l’ideale – sia chiaro – non va confuso con la ‘ideologia’ (l’«insieme di idee e valori sufficientemente coerente al suo interno e

finalizzato a orientare i comportamenti sociali, economici o politici degli individui»), giacché, pur dandovi impulso, rispetto a questa resta più puro, più ‘libero’, privo com’è di ogni pretesa prescrittiva. Insomma, l’ideologia richiede militanza, l’ideale no. E ripudia qualsiasi forma di cinismo, che nega il senso stesso della nostra esistenza. Senza ideali l’essere umano si consegna alla freddezza, all’indifferenza, all’insensibilità. E dunque, W Piotr! W Ciro/Dries! W Lorenzo! W Marek! Senza figure così, l’amore per l’azzurro perde ogni significato. Disprezziamo il disprezzo verso tutto ciò che incarna l’ideale. Ma – si ripete stancamente – «sono mercenari», badano solo al danaro e al successo personale! Sarà anche questo il motivo che malamente anima alcuni singoli, e pure in parte cospicua. Ma resta nobile la causa che tutti li trascende. Altrimenti diamogli un taglio.

Per approdare al Napoli, chi ha passato e cultura juventini deve fare abiura. Basta con questo argomento ormai vieto del «professionismo». Non tutte le professioni sono uguali. Se faccio il magistrato, l’avvocato o il cancelliere, il medico o l’infermiere, l’architetto, l’ingegnere o il carpentiere, non sono obbligato a rinnegare il mio credo culturale. Se faccio il calciatore, l’allenatore o il dirigente sportivo, invece, in un modo o nell’altro devo sposare l’ideale della squadra per cui opero. «Ancora? Ma le bandiere non esistono più!», si reitera continuamente. In modo, però, acritico, perché con fondamento lo si può sostenere solo a posteriori, giudicando dell’eventuale tradimento del soggetto in causa. Non vale in partenza.

Del resto, l’ha ribadito lo stesso Presidente nel momento in cui Giuntoli fece outing: «Quando l’ho preso che veniva dalla Serie D nessuno si è chiesto chi fosse. Lui è cresciuto per otto anni con noi, nascondendomi che fosse uno juventino sfegatato. Se l’avessi saputo, non l’avrei trattenuto». Ebbene, di Manna lo si sa già. Dunque, è legittimo che, prima di lasciargli prendere le redini della gestione societaria, i tifosi azzurri pretendano che abiuri. Stesso discorso vale, ovviamente, per il prossimo allenatore. Dei cinque di cui si discute, per ragioni identitarie, la classifica di gradimento, in ordine decrescente di antropologia bianconera, non può che essere: 1. Italiano, 2. Pioli, 3. Gasperini, 4. Conte, 5. Allegri. Solo il primo potendo vantare un’assoluta assenza di contaminazione.

2. Il calciofilo. Quindi, sotto il profilo tattico ed atletico, non si può ragionare correttamente sul futuro senza metter da parte le considerazioni sulla mancanza di dignità, o sulla svogliatezza, dei giocatori. Occorre tener conto soltanto delle loro caratteristiche (relativamente alla tenuta fisica ed alle qualità tecniche), in funzione del modulo di gioco prescelto dal nuovo mister. L’auspicio è che questi sia scevro sia dai fondamentalismi, sia dalla mancanza di una precisa identità (tipica del cd. ‘calcio liquido’). Vantiamo, naturalmente, il diritto di pretendere una squadra piena di quell’anima azzurra rappresentativa del popolo partenopeo.

Gli esiti diversi di City-Real e Fiorentina-Victoria dimostrano quanto giocare meglio, avendo il triplo delle occasioni dell’avversario, non sia sufficiente. Occorre anche essere assistiti dal kairos e non essere penalizzati dagli arbitri. Napoli-Atalanta e Napoli-Frosinone, giocate non malissimo, ma con scarsissima efficacia realizzativa, senza fato avverso e con arbitraggi corretti, avrebbero potuto tranquillamente generare 5 punti in più. E ad Empoli la squadra avrebbe potuto volare sulle ali dell’entusiasmo, ritrovando con continuità gli sprazzi di gioco sublime rivisti a Monza.

E invece, ahimè, Calzona ci ha capito veramente poco. Natan è palesemente fuori condizione ed è negato in quella posizione. Perché non abbia messo subito in campo Mazzocchi resta un mistero, anche se aveva avuto un po’ d’influenza (come s’è visto, quando è entrato). Dall’inizio, oltre a Mazzocchi, doveva partire Ngonge, per far entrare Politano nel secondo tempo (si era capito a Monza, ma lo si sapeva dall’anno scorso, in cui si alternava col Chucky). I cambi sono stati tardivi e sbagliati (Raspadori a sinistra è nullo, Simeone ancora una volta all’89°, uno scandalo).

A mio avviso, a dispetto della melma gratuita riversatagli addosso, Mazzarri è stato il migliore dei tre mister. E Zielinsky (ieri uno dei pochi a provarci con fervore) è stato ostracizzato ingiustamente, con una scelta autolesionistica. Comunque, niente può giustificare la impietosa violenza verbale scaricata sui giocatori. Se hanno tenuto il pallone per 73 minuti su 90, non si può discutere l’impegno. Il problema vero è la condizione mentale. E questa non dipende soltanto dalla volontà. Puoi crederci quanto vuoi, ma, se psicologicamente sei out, non riesci. Non sono «bambini viziati», o «mercenari». La rabbia acceca e falsa i giudizi. Ma – domandiamoci – perché mai i giocatori

dovrebbero non voler segnare? Che interesse avrebbero? Perché vorrebbero tradire la città che hanno fatto trionfare solo nove mesi fa? Pur se sterile al punto di non fare un vero tiro in porta, se il possesso palla è del 73%, vuol dire che ci hanno provato. E non va dimenticato che coloro che ora gridano la loro indignazione sono gli stessi che a maggio osannarono ad AdL, e che, solo un paio di mesi fa, hanno detto peste e corna di Mazzarri.

3. Lo specialista di diritto. Ieri la gomitata di Ostigard era da espulsione. Il VAR non è intervenuto in maniera palesemente illegittima. Così chiariamo subito che, in quel che sto per continuare a ripetere, il tifo non c’entra. La vittoria di Monza (che, almeno a me, ha fatto bene, consentendomi istintivamente di tornare a sorridere e di cominciare col sorriso la nuova settimana) non doveva distogliere l’attenzione dalla direzione arbitrale radicalmente illegittima. «Siccome avete vinto non vi siete lamentati!», questo è l’appunto che c’è stato rivolto, nel sostenere che l’opera di verità che proviamo a svolgere, nell’interpretazione e applicazione delle regole del gioco, è manifestazione di tifo. Come se non fosse normale lamentarsi di una illegittimità soltanto quando contribuisce a generare un danno. La conferma della pochezza degli interlocutori sta proprio nell’ignorare che, ad esempio, per poter impugnare un atto amministrativo illegittimo, è necessario che esso abbia prodotto una lesione della situazione soggettiva del ricorrente.

E siamo talmente calvinisti (altro che «chiagnazzari»!) che non abbiamo rivolto alcuna accusa al prototipo degli arbitri che propugnano la violazione del Regolamento (per «lasciar giocare», consentendo la velocizzazione, la fluidità, del gioco). Il signor Fabbri, che nel dirigere Napoli-Frosinone si è ben guardato, nei primi 20 minuti della gara, dal sanzionare con provvedimento disciplinare – come da Regolamento sarebbe stato dovuto – almeno tre giocatori ciociari. Né lo facciamo oggi nei confronti di Manganiello che ha consentito all’Empoli di giocare ‘sporco’. Del resto, il pessimo costume è diffuso anche fuori dai confini nazionali. Il Bayern è andato in semifinale di Champions ai danni dell’Arsenal per un rigore inopinabile (tranne che per gli opinionisti di Sky) non concesso a suo favore all’ultimo minuto della sfida di andata. L’arbitro svedese Nyberg avrebbe detto che «in Champions non dà un rigore così». Come se non fosse uno solo il Regolamento.

Che l’invito a non rispettarlo (mentre lo si spiega) sia istituzionalizzato, riconoscendosi ai direttori di gara uno spazio di valutazione extra legem, è confermato dalle affermazioni del designatore Rocchi nelle due puntate di Open VAR Masterclass, su DAZN, infarcite di errori e dichiarazioni giustificative delle illegittimità. Ad esempio, «Senza il pallone sarebbe stato rosso», oppure «Non è rosso perché gioca il pallone», prescrizioni inesistenti nel Regolamento, il quale non prevede affatto che, se il calciatore prende il pallone, «non è mai rosso». Oppure, «lo scontro frontale è meno rischioso; se è frontale siamo portati a non espellere», così auto-riconoscendosi la capacità di forgiare un margine discrezionale che non c’è".


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