Guido Clemente di San Luca a TN "In Supercoppa l'ennesimo arbitraggio illegittimo"
Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, fa il punto della situazione dopo la finale di Supercoppa.
"Dopo l’ennesima rappresentazione di conclamata illegittimità manifestatasi con l’arbitraggio della finale di Supercoppa ad opera del signor Rapuano, appena smaltita la rabbia, mi sono venute in mente le parole di una bella canzone di Pino: «Ma che parlamme a fa’ sempe de’ stesse cose. Pe’ ce ntusseca’, e nun ce ’ncuntra’ ogne vota co’ ’a arraggia ’ncuorpo ’e chi jesce pazzo tutt’e juorne pe’ capì». E poi, sconsolato, quelle di De Gregori: «E non c’è niente da capire».
Poche essenziali considerazioni. Chalanoglu doveva essere espulso nel primo tempo per doppia ammonizione. Quella fine, invece, l’ha fatta poi il Cholito, la cui prima ammonizione è stata una clamorosa illegittimità. Nel suo intervento non c’era «imprudenza», né si trattava di «SPA». Solo «negligenza». Pare proprio di aver assistito alla cinica attuazione di un disegno scientifico. Da tifoso, sono avvilito e mortificato. Da amante dello sport, nauseato. Da (pur se modesto) studioso di diritto, avverto forte il disagio per il progressivo affievolirsi della speranza che non venga definitivamente calpestata la legalità.
Però non dobbiamo arrenderci. A cos’altro dobbiamo assistere per convincerci che è indispensabile togliere agli arbitri ogni potere arbitrario? Il vero problema è questo. L’arbitro non è un giudice! Non ci si rivolge a lui per ottenere giustizia. Non è chiamato a risolvere controversie, a emettere sentenze per iuris dicere, per decidere quale sia il diritto nella concreta vicenda sottoposta alla sua delibazione. No. È chiamato invece a garantire il rispetto delle regole nello svolgimento della competizione, di modo che venga assicurata la sua regolarità. Con l’umiltà e lo spirito di servizio che devono caratterizzare l’opera di ogni agente delle istituzioni: è assimilabile, infatti, ad un funzionario cui sono affidati compiti di polizia amministrativa. L’ordinamento calcistico gli chiede essenzialmente di ‘controllare’ che la gara si svolga nel rispetto delle regole. Insomma, deve fare in modo che nel gioco non venga tradito il principio di legalità.
Le regole gli assegnano, sì, spazi di valutazione discrezionale, ma abbastanza chiaramente delimitati. Il «metro di giudizio» arbitrale è un espediente truffaldino per giustificare e nascondere decisioni illegittime (in quanto inopinabilmente contrarie alla norma). Per meglio chiarire, un intervento irregolare non può essere ritenuto tale perché il «metro di giudizio» dell’arbitro lo consideri così contra legem. Il vigile urbano ha il dovere di rilevare il comportamento dell’automobilista che passa col rosso, e non gli è consentito di ‘valutarlo’ come conforme al Codice della strada. Allo stesso modo, è sbagliato ed ingannevole continuare a ripetere che «rigore è quando arbitro fischia». Certo, sul piano degli effetti concreti, anche chi passa col rosso senza essere sanzionato dal vigile la fa franca. Ma nessuno può pensare che l’omissione di sanzione renda legittimo il comportamento contrario alla legge. L’omissione della rilevazione di questo integra una decisione illegittima.
Se la norma non assegna all’arbitro un potere di giudizio, e cioè un compito di valutazione del fatto (il che sussiste soltanto nelle circoscritte ipotesi – tipizzate dalla norma – di discrezionalità tecnica, giammai laddove si tratti di mero accertamento tecnico), il «metro di giudizio» non esiste. Parlarne, anzi, costituisce una vera e propria istigazione a violare la norma. La foglia di fico dietro cui si trincerano, abusivamente, gli arbitri (non tutti, ma coloro fra essi che lo fanno) e quella stampa che, complice, ne copre le nefandezze. Se n’è avuta ennesima conferma dalle affermazioni del telecronista e del commentatore tecnico, quando nel secondo tempo hanno candidamente affermato: «Rapuano ha cambiato il metro di giudizio fra primo e secondo tempo». Il fatto è – come ho spiegato – che, di fronte a meri «accertamenti tecnici», non v’è «giudizio», cioè valutazione opinabile.
Per chiarire ulteriormente, nel primo tempo della finale di Supercoppa, i due falli di Chalanoglu precedenti quello per cui è stato ammonito sono casi di inopinabile «imprudenza», obiettivamente meritevoli, perciò, del cartellino giallo. Così come l’intenzionale tocco di mano in tuffo, a fermare un’azione potenzialmente pericolosa di Zerbin. E invece, niente. Il «lasciar giocare» in presenza di un fallo è legittimo solo se v’è una effettiva situazione di vantaggio, non certo per rendere il gioco più veloce, arbitrando – come erroneamente si usa dire – «all’inglese». Non v’è dubbio che arbitrare sia «una prova di abilità mentale». Tuttavia, tale abilità deve esprimersi dentro il paradigma giuridico delle regole del gioco. Discrezionalità non equivale a libertà, e cioè ad arbitrio, come se si potesse soggettivamente interpretare il «senso del gioco» oltre la prescrizione normativa. Significa, insomma, realizzare l’interesse pubblico alla regolarità della competizione operando rigorosamente solo nei delimitati spazi di valutazione delineati dalla regola.
L’intervista delle Iene all’arbitro di serie A in attività ‘anonimo’ ha rivelato niente che non si sapesse già. Certo, sarebbe stato preferibile che non si fosse nascosto sotto un cappuccio. Nessuno, però, può farsi maestro di coraggio civile, in un mondo abitato prevalentemente da codardi asserviti al principio (decadente, ma umanamente comprensibile) del «tengo famiglia». La credibilità di quanto ha riferito non è minata dal (non facilmente condannabile) timore di pagare di persona. Sono anni che (con testarda perseveranza, per molti insopportabile) provo a spiegare (come «voce d’uno che grida nel deserto») le cose di cui ha parlato quell’arbitro. La notizia è che le abbia dette qualcuno dall’interno del sistema istituzionale. Sì, non può definirsi propriamente un «cuor di leone». Ma bisogna essergli grati. Perché se ne giova sicuramente la battaglia per la legalità".