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Guido Clemente di San Luca a TN: "Le mie considerazioni sull'arrivo di Conte al Napoli"

di Redazione Tutto Napoli.net

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, commenta così l'arrivo al Napoli di Antonio Conte.

"È indubbio che la depressione per la dannata stagione trascorsa sia un formidabile viatico per la euforia collettiva che nei mezzi di comunicazione sta accompagnando l’arrivo del nuovo mister. La cosa mi mette un po’ a disagio. Stando al racconto giornalistico, l’entusiasmo per Conte sarebbe dilagante. Eppure, sento in giro – e leggo – che le mie perplessità non sono affatto isolate. Non sono pochi, infatti, quelli che faticano a dimenticare, e rifiutano di lasciare nell’oblio il passato, la storia. Sbaglio? Forse. E sai perché? Perché – vecchio romantico e ostinato ‘cattocomunista’ – oggi tutto è cambiato. Il mercato lava ogni peccato. L’unico obiettivo è la vittoria. Anche se vi si deve pervenire attraverso una vera e propria ‘juventinizzazione’. Sì, perché – dev’esser chiaro – è in corso un processo di assuefazione alla cultura che rappresenta l’opposto di quel che siamo. Calpestiamo tutto, la memoria e anche le regole, l’importante è vincere. «L’unica cosa che conta è la vittoria», o no? Come si ottiene è indifferente.

Io però non riesco ad accettare la prospettiva di vincere ad ogni costo. E nemmeno mi seduce l’idea che qualcuno ci invidi perché siamo stati capaci di prendere il più ardente, aggressivo e spietato degli allenatori. Come si può essere contenti – ci si domanda – di vedere sulla nostra panchina uno che i tifosi azzurri hanno sempre disprezzato, per quel che era e per ciò che iconicamente rappresentava? Poi magari tutto si aggiusterà; lui si dichiarerà paladino del Mezzogiorno e desideroso di battersi contro quei poteri (nemmeno tanto occulti) che, obiettivamente, hanno generato una disparità incolmabile nel conto delle vittorie dei campionati; e magari il Napoli, in questo segno, vincerà pure. Ma almeno aspettiamo che ciò si verifichi e si mostri autentico.

D’altronde, le voci perplesse o dissenzienti sono molte più di quanto venga rappresentato. Secondo tanti protagonisti della comunicazione, «è ’o popol’ che ’o vvo’!». Ma l’unanimismo è generato da un racconto non del tutto fedele. Capisco che omologarsi al costume dell’arroganza e della prepotenza non sia poi così difficile ove (qualcuno professandosi ‘anarco-romantico’) si rifiuti ogni distinzione ideale, e si promuova un’esistenza a-valoriale, priva di ogni inutile, e anzi improduttiva e svantaggiosa, scala assiologica. Del resto, nel tempo che viviamo sembra normale – su un piano più ampio e generale – che nessuno si indigni o scandalizzi per il fatto che un generale fascista venga candidato alle elezioni; o che si inneggi al tycoon condannato auspicando che venga eletto; o che si faccia strame della Costituzione repubblicana, nata dalla, e fondata sulla, Resistenza antifascista, proponendone una trasformazione così radicale da eliminare definitivamente la centralità del Parlamento e consacrare la disuguaglianza fra nord e sud del Paese.

Provando ostinatamente ad essere coerente, io resto ‘catto-comunista’. Non penso che quella che chiamo ‘napolitudine’ e altre ‘amenità’ del genere siano sterili e superflui reperti del passato. Rimango perciò maledettamente affetto dalla malatìa azzurra. Quella che mi fa affezionare ai giocatori che abbiano vestito la maglia con amore e senso di appartenenza, a prescindere dalla deriva mercantile che tutto inquina. Penso, ad esempio, da ultimo, a Hamsik, Mertens, Insigne, Zielinski. Una lunga teoria di relazioni inaridite, perché non coltivate con l’amore che ci è proprio. Li abbiamo persi senza alcuno scrupolo del vertice, esplicitamente e convintamente negando ogni spazio ai sentimenti. Quella stessa aridità che ha esaurito – e ci ha fatto perdere – Spalletti. E che ora mette in crisi il rapporto col capitano del terzo scudetto.

2. Tutto ciò impone di tornare a riflettere sulle responsabilità per la disgraziata annata passata. Sono soltanto di ADL. La stampa prevalente ha colpevolmente distolto l’attenzione dal vero unico responsabile (peraltro reo confesso), alimentando sospetti e dubbi sui giocatori e sulla loro dignità, sul loro orgoglio, sulla loro correttezza professionale, sul rispetto per la maglia, sulla mancanza di riconoscenza verso i tifosi. Tutto è nato da Garcia, la sottovalutazione di affidargli la squadra avendo generato una spirale perversa. I giocatori non si sono tirati indietro. Considero vergognose le illazioni: o si danno notizie dettagliate e circostanziate, oppure è letame schizzato ad arte per sviare la vera lettura della responsabilità di tutto. «Mercenari, via da Napoli!». E Giuffredi che sarebbe? Non è stato violentemente criticato per voler portare il capitano via da Napoli? E De Laurentiis che assume Manna e Conte, dopo aver dichiarato che, se avesse saputo della sua fede, mai avrebbe preso Giuntoli? Dove sta la coerenza? Non è tutto mercimonio? Mettiamoci d’accordo su cosa vogliamo. Se il PSG offre 120 milioni per Kvara, dandone a lui 10, che si deve fare? Certo, non puoi tenere un giocatore che non vuol restare. Ma cosa s’è fatto per fargli desiderare di rimanere? Siamo sicuri che sia solo colpa dei procuratori?

Due anni fa, in sofferto ripensamento, feci l’abbonamento alla fine, dall’isola greca. Le circostanze sono sempre peggiori. Il clima complessivo che si respira allo stadio (musica assordante che impedisce di comunicare, gente che va avanti e indietro con birra e patatine, come fosse ad un qualunque spettacolo, senza ‘soffrire’, e così via). L’età ormai avanzata, che moltiplica la fatica per raggiungerlo. A questo aggiungi la schizofrenia ormai strutturale cui vengo costretto (nel sentirmi o no rappresentato), fra maglia azzurra e proprietà, schizofrenia dolorosissima, aggravata (almeno per ora) dal processo di ‘juventinizzazione’ in atto. Beh, allo stato, proprio non me la sento. Più avanti vedremo.

3. Un pensiero finale dedicato al celebratissimo Ancelotti (per aver ulteriormente arricchito un incredibile palmares). Da sempre provo a dire che il risultato, la vittoria, consegue al ricorrere di tre componenti: a) una squadra forte che giochi bene; b) una competizione leale, in cui venga garantito l’uguale rispetto delle regole; c) l’usufruire del kairos, e cioè che gli accadimenti avvengano nel «momento opportuno».

Se si rivede il percorso della Champions appena conclusa con occhi privi di pregiudizi, si conclude facilmente: a) che, pur disponendo il Real di giocatori fortissimi, la squadra, quasi sempre, ha giocato peggio dell’avversario (persino il Napoli di Mazzarri la mise in difficoltà); b) che sovente abbia usufruito di arbitraggi non esenti da decisioni illegittime (nella finale, fra le altre, un rigore netto negato al Borussia nel primo tempo, per intervento inopinabilmente negligente, con inaudita giustificazione del commentatore, secondo il quale «in una finale europea non si può dare un rigore così»: come se fosse nel potere dell’arbitro scegliere se «lasciar correre» o no, e dunque se la regola vada o meno fatta rispettare); c) che, infine, abbia avuto il kairos costantemente favorevole (Carletto è senza dubbio un uomo per bene e fortunato: nonostante vanti giocatori inferiori, il Borussia ha dominato, nei momenti opportuni ha fallito numerosi gol, e poi su calcio d’angolo il più piccolo del Real, al momento opportuno, ha fatto gol di testa, cambiando il corso della partita).

Così è la vita. Ma Gasperini c’insegna che non è giusto valutare la qualità del lavoro svolto soltanto dai titoli conquistati. Il 14 agosto si confronteranno due diverse visioni del mondo.


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