Guido Clemente di San Luca a TN: "Maxi-recuperi? Non si vuole togliere questo potere agli arbitri"
Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha espresso alcune considerazioni in chiave Napo
Il Mondiale è cominciato da una settimana. Gli eventi che si susseguono dentro ed intorno alla competizione in Qatar letteralmente ‘incarnano’ la rilevanza politica generale del fenomeno, ben oltre i confini del suo ambito naturale. Le morti bianche per realizzare gli impianti, la minaccia di sanzione disciplinare per chi indossi la ‘fascia arcobaleno’, la radicale mancanza di garanzia di libertà di manifestazione del pensiero, e così via. E poi, i forti contrasti di Stati (v. le dichiarazioni della ministra tedesca) e Federazioni nazionali (v. la dura posizione assunta da quella danese, DBU) con la FIFA. La quale, però, quando torna utile, non si fa specie nell’auspicare che gli Stati intervengano (si pensi alla triste vicenda della cd. ‘Superlega’).
Ebbene, in clamorosa dissonanza, al «Convegno di Diritto Sportivo» tenutosi a Roma il 24 novembre, nella lunga teoria di relazioni ed interventi presentati si è continuato, con imperterrita perseveranza, a considerare come indiscutibile fondamento dell’autonomia dell’ordinamento sportivo il cd. ‘diritto dei privati’. Per intendersi, quel diritto che, smarcandosi dal monopolio esclusivo dello Stato, consente agli individui di dispiegare appieno, ed in modo pluralistico, la capacità di auto-regolazione, liberati dalla morsa oppressiva del Legislatore onnivoro, inabile, quasi per definizione, a cogliere il continuo e mutevole fluire della vita. Eppure, persino chi, ormai un secolo fa, elaborò questa teoria avvertiva perfettamente che il ‘diritto dei privati’ dovesse – sì regolare, in autonomia, i sacrosanti spazi di libertà, senza però – mai giungere fino al punto di negare la funzione della legge dello Stato, riconoscendo indispensabile la interdipendenza delle due diverse normazioni.
Come se, tutt’intorno agli ineffabili operatori del ‘circuito’, non stesse accadendo alcunché. Come se il fenomeno, ormai di dimensioni mastodontiche, di gigantesca rilevanza economica e sociale, veramente possa tuttora ricevere con ragione una regolazione esclusivamente ‘domestica’. Come se fosse ancora giusto (e si potesse fondatamente) rivendicare, per la disciplina dell’intero suo oggetto, la snellezza ed agilità proprie dell’associazionismo privatistico.
Non v’è chi non veda il colossale anacronismo del considerare la regolazione del calcio (e dello sport in genere) alla stregua della regolazione dei rapporti intersoggettivi fra privati che si associano. Gli oggetti sono tutt’altro che omologhi. Ma di quali privati si parla? Dei milioni di praticanti e dei miliardi di appassionati che connotano il settore (e che di fatto contano nulla)? O di quel ristretto numero che costituisce l’oligarchia detenente un potere in effetti assoluto? La stragrande maggioranza dei privati coinvolti – atleti e tifosi – semplicemente subisce regole e gestioni con ogni evidenza inique.
Eppure, tant’è. Giuristi raffinati si rivelano incapaci di cogliere la realtà che è sotto gli occhi di tutti. E seguitano a predicare che stia nella incomprimibile libertà individuale (alla base del ‘diritto dei privati’) il fondamento dell’autonomia dell’ordinamento sportivo. Ma forse quella della incapacità è una lettura benevolente, tanto pare malcelato l’intento di giustificare il modo arbitrario di governare il settore. A ben riflettere, non di rado la preoccupante miopia sembra nascondere scarsa autonomia di opinione.
Fatto si è che si mostra palese un vero e proprio ‘ricatto’ istituzionale. Gli ordinamenti statali – pur se dispongano di radici saldamente impiantate nel fertile terreno della democrazia – si trovano impossibilitati ad imporre regole agli organismi ‘autonomi’ che spadroneggiano nello sport (federazioni sportive, leghe, ecc.), perché, ove virtuosamente lo facessero, questi ultimi verrebbero estromessi dalle organizzazioni sportive internazionali (prive di qualsiasi legittimazione democratica), e le squadre affiliate buttate fuori dalle competizioni da esse allestite.
In un quadro così deprimente, i tifosi azzurri vivono la sosta del campionato con un certo distacco. Ma s’interrogano. E con qualche non irragionevole preoccupazione.
Se persino ai Mondiali si registrano decisioni arbitrali clamorosamente illegittime, senza che il VAR intervenga, pur dovendolo fare stando al Protocollo (per fare un esempio eclatante, nella partita col Belgio, al Canada sono stati negati ben due rigori non opinabili, il primo dei quali per un inesistente fuorigioco, il giocatore canadese essendo stato servito da un errato retropassaggio del belga Hazard; oppure, volendo farne un altro, il rigore concesso al Portogallo per un fallo assai dubbio su Ronaldo, con i commentatori che persistono nel giustificare la irregolare condotta omissiva del VAR con l’infondato argomento secondo cui non può intervenire perché sarebbe una ‘decisione di campo’).
Se l’assegnazione dei maxi-recuperi provoca reazioni perplesse (e persino indignate), anziché rendere definitivamente indiscutibile un problema evidente: che all’interno delle partite c’è troppo poco calcio giocato, tante interruzioni e tempi morti. Problema la cui soluzione sarebbe addirittura banale: introdurre il cd. ‘tempo effettivo’. Viceversa, allo scopo di non prevederlo, si avanzano motivazioni pretestuose. Nel basket è così, il tempo scorre solo quando il pallone è in movimento. Ove si ritenga che il tempo di gioco giusto debba essere di 60 minuti (la durata media attuale è fra i 50 e i 55 sui 90 previsti), basterebbe prevedere due tempi di 30 minuti calcolati senza inutili ‘valutazioni’, superando ogni sospetto di possibili parzialità. Tutti vedremmo sul tabellone luminoso quanto resta da giocare. Potrebbe farsi facilmente, senza più alcun indugio. E invece no. La verità è che nemmeno questa decisione si vuole sottrarre all’arbìtrio del direttore di gara. Assegnare discrezionalmente i minuti di recupero rappresenta uno spazio di potere da conservare gelosamente.
Ebbene, se accade questo, i tifosi azzurri sono più che autorizzati a nutrire dubbi per la ripresa a gennaio. Ma su questo torniamo nel prossimo pezzo.