Guido Clemente di San Luca a TN: "Se Mazzarri avesse sostituito Kvara sarebbe stato linciato"
Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, fa il punto della situazione sul momento dei casa Napoli.
"1 - La schizofrenia del tifoso. Come la stragrande maggioranza dei tifosi anche io, nonostante la riprovazione dei continui sgradevoli modi di fare del Presidente, mercoledì sera sono andato allo stadio pensando soltanto all’azzurro, nel quale mi sento confuso in un’unica entità. Dopo l’inelegante e perfino brutale esonero di Mazzarri (ma se non fosse stato un «amico di famiglia» che gli avrebbe fatto?), un carissimo amico magistrato mi ha confessato: «Credimi. Lo voglio vedere fallire. Deve perdere tutti i soldi e finire sul lastrico». Io non arrivo a questo. Anzitutto perché augurare il male altrui non mi appartiene. E poi perché, in questo caso, coinciderebbe con il male di una delle poche cose dalla quale proprio non posso sentirmi scisso. E dunque, al Maradona, sperando di gioire. Ma pronto a soffrire, come per tutto ciò che si ama profondamente.
2. La speranza di gioire s’è subito affossata. Una confusione tattica, un impressionante disorientamento ed una incertezza nel giocare la palla, degni del peggior Garcia. E tu a vivere una duplice condizione interiore. Da un lato, l’osservazione di un disastro («mo’ pigliamm’ ’a goleada!»), che si accompagna all’amarezza per l’ultima chance negata a Mazzarri (meritava di giocarla questa partita: poi potevi pure sostituirlo, anche se avesse vinto). Dall’altro, la speranza che la proverbiale fortuna del proprietario riesca a regalarci un pizzico di kairos, e quindi un risultato in grado di non mortificare il desiderio di passare il turno. Alla fine, più o meno, così è stato.
Siamo usciti dallo stadio sperando. E facendo i conti: fra tre settimane Calzona e Sinatti avranno rimesso a posto la squadra, e così potremo pensare di passare ai quarti non infondatamente. Sperare è legittimo. Ed è umano. Ma di qui a far percolare un ottimismo che allo stato è privo di ogni base ragionevole, ce ne passa. Com’è ovvio, nessuna responsabilità di Calzona. Cos’altro poteva fare in meno di due giorni? Tuttavia, aver intravisto nella partita col Barcellona un chiaro ed evidente cambio di rotta significa, ancora una volta, piegare i fatti per sostenere le proprie opinioni.
Se volessi fare lo stesso, potrei sostenere che, con Mazzarri e sulla base del suo lavoro, non avremmo certo lasciato al Barcellona praterie su cui liberamente scorrazzare a piacimento. Non avremmo pervicacemente insistito con la «costruzione dal basso» al di là di ogni ragionevolezza (un’ossessione fondamentalista), esponendoci al pressing ed alla immediata riconquista palla degli avversari. Avremmo tenuto un possesso (anche sterile) non inferiore all’avversario. E forse avremmo persino vinto, con un contropiede o col forcing finale (che certo non è esclusiva di Calzona).
Se Walterone avesse sostituito Kvara sarebbe stato linciato. Lo fa Calzona e viene lodato, persino ammirato. Quanto alla coerenza nelle scelte, tutti a chiederne conto a Mazzarri. Ma, se è vero che, a prescindere dal nome, chi non gioca bene viene sostituito – come lui stesso ha dichiarato –, perché nessuno ha fatto notare a Calzona che Anguissa è rimasto in campo per tutto il tempo, laddove, per come letteralmente cammina in mezzo al campo (dormiente, salvo svegliarsi nell’ultimo quarto d’ora), oggi forse non dovrebbe proprio vederlo? Come mai nessuno gli ha chiesto perché nel secondo tempo non è passato al 4231, come richiesto dai più? Mah!
3. Raccontare i fatti piegandoli per sostenere le proprie opinioni. È legittimo, ma non giova. Rendiconto e commento della partita onesti dovrebbero limitarsi a riferire ciò che si è visto, non quello che si è voluto vedere. Un solo tiro in porta, un gol. Il peggiore in campo fa l’assist decisivo e il secondo peggiore la butta dentro (scoprendo poi quanto le statistiche su cui si costruiscono i giudizi siano incredibilmente inverosimili: secondo quella degli expected goal – il criterio per misurare la pericolosità di una squadra sotto rete – il Napoli avrebbe fatto meglio del Barcellona!).
Ma siamo sicuri che, se la squadra fosse stata guidata da Mazzarri, sarebbe andata peggio? L’arrembaggio finale non è stata una prerogativa della sua gestione? No, proprio non sono nostalgico. Ma, per coltivare seriamente la speranza, bisogna ricercare la verità. Non farsi cullare dai sogni. È dolce e confortante, ma ci si può risvegliare peggio. Tutti ci auguriamo che in breve Calzona riesca a rinvigorire l’anima della squadra, a ridarle una più sicura identità. È però una speranza. Solo una meravigliosa speranza, alla quale ci attacchiamo disperati. Onestà intellettuale, invece, ci impedisce di ritenere che è sembrato di riconoscere nitidi segnali di una chiara inversione di rotta. Nes
suna «luce al Maradona». Chi l’ha vista, più che altro, ha avuto una visione, un miraggio generato da un sacrosanto desiderio spasmodico. Quello, appunto, del «quanto l’abbiamo aspettata».
Insomma, prima di illudersi che Calzona abbia «cominciato bene che meglio non si poteva», andrei cauto. Se battiamo Cagliari, Sassuolo, Juventus e Torino, allora sì potremo dire con convinzione che ha ridato «coraggio alla squadra». Perché col Barča si è visto tutto fuorché che si sia «registrata la difesa» (quello l’aveva fatto Mazzarri, per rimediare ad un problema strutturale: senza Kim si fa una gran fatica a fare la pressione alta). Si creano buchi nei quali gli avversari s’infilano, tagliandola come il burro. Com’è stato coi catalani. Altro che «primo tempo assai prudente ma senza errori». Chi ha visto questo era nel deserto. Talmente spossato da perdere il senno.
È vero, «chi nun tene coraggio, nun se cocca cu ’e femmene belle». Ma osare al di là del ragionevole, non di rado, ha un prezzo altissimo: quello che pagano i presuntuosi velleitari.