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Da 0 a 10: il craque da 50 mln, la reazione shock dei tifosi per Kvara, le lacrime per Daniele di Anguissa e Neres paga il bonus psicologo a Faraoni

di Arturo Minervini

Zero al fuoco che dobbiamo aspettarci. Che è già partito, con gli spari sopra che sono per noi. Il caso Kvara ha riacceso gli animi bellicosi di nemici e finti amici, che cercano una breccia per scalfire il diamante costruito da Conte in pochi mesi. Servirà grande intelligenza, da parte di tutti, per non sprecare inutili energie appresso a qualche fessacchiotto che cerca nuova popolarità. La maglia, prima di ogni cosa, la maglia. 

Uno l’incubo di Faraoni, che paga il suo contrappasso al Maradona dopo aver tolto la Champions al Napoli di Gattuso. L’esterno del Verona ha avviato le pratiche per ricevere il bonus psicologo dallo Stato, caduto in uno stato di totale confusione dopo essersi trovato Neres che faceva più finte di uno che alla stazione fa il gioco delle tre campanelle e ti nasconde la pallina. In onore al cognome, avrà invocato l’aiuto di tutte le divinità egizie. Inutilmente. 

Due anni e mezzo, l’amore prima di saper pronunciare il suo nome correttamente e poi… Forse oggi non è il tempo per parlare di questo amore, c’è ancora la rabbia che circola nelle vene. La delusione, quella di Conte che è comune a tutti i tifosi, di un addio che ha le sembianze di una fuga prematura e vigliacca. Parlare di Kvaratskhelia, di quello che è stato, di quello che comunque sarà nei cuori di tutti noi, è prematuro. Una cosa è certa: ogni sua finta ci ha sciolto il sangue nelle vene, con buona pace di San Gennaro e con infinito rispetto per Maradona. Fa male. C'è però da sottolineare la grande maturità dimostrata dai tifosi in un momento così convulso, una reazione totalmente inattesa per chi pensava ad una grande rabbia verso KK. 

Tre clean sheet consecutivi, quest’ultimo senza due titolari (Buongiorno e Olivera). Bravo Spinazzola, che s’è costruito un finale diverso della sua avventura napoletana. Bravissimo, ancora una volta, Rrahmani, che svilisce le già timide velleità scaligere. Eccezionali tutti, nel sacrificare piccole porzioni della loro libertà al servizio della scopo. È un Napoli che ha aggiunto a questa solidità tante nuove soluzioni offensive, in quel puzzle a cui Conte ad ogni partita ha aggiunto un pezzettino. L’opera ha un senso sempre più compiuto. Proseguiamo, in direzione ostinata e contraria. 

Quattro partite per gridare ‘Ci sono anch’io’. Juan Jesus si è tolto uno scoglio di Mergellina dagli scarpini, ha sfruttato l’occasione di riscatto che il fato gli ha concesso con l’infortunio di Buongiorno. Rivitalizzato dal sistema Conte come le Aragoste da Lino Banfi con i cavi elettrici ne Il Bar dello Sport. Il brasiliano è uno Hugo Cabret che si lascia rapire dal meccanismo superiore elaborato da Conte per questo Napoli. “Così io penso che se il mondo è una grande macchina, io devo essere qui per qualche motivo. E anche tu!”. 

Cinque centrocampisti centrali, quattro arrivati dalla Premier League: Anguissa, McTominay, Gilmour e l’ultimo arrivato Billing. Le indicazioni di Conte sono chiare, preferisce calciatori abituati a giocare a ritmi più alti dei nostri, conscio che in Italia possano fare la differenza. Sul nuovo acquisto tanti hanno già sentenziato, senza averlo mai visto manco timbrare il biglietto della metro: “È il nuovo Cajuste!” O peggio: “Riecco Dendoncker”. Sono gli stessi che dimenticano che pure Anguissa era arrivato con un prestito da 500 mila euro da una squadra retrocessa. 

Sei assist in campionato per Romelu Pronto Intervento. Servizio a domicilio per i compagni, che quando vanno a caccia di spazi si rivolgono a lui manco fosse un consulente dell’Ikea. Lukaku c’è, è in forma, fa quello che Conte gli chiede di fare e lo fa bene. I due gol sono due gemelli omozigoti che nascono dall’idea di calcio di Antonio, con il centravanti a fare da boa per l’inserimento degli altri. Quando prende posizione e pianta i due piedi nel terreno è come un Baobab piantato nel pianeta del Piccolo Principe. 

Sette e mezzo a Di Lorenzo, che non risulta come primo marcatore, ma chissenefrega! Giovanni si ricorda del suo passato, quando lo chiamavano Batigol e sblocca la gara col destro a giro che gioca a carambola con la schiena di Montipò. Attacca lo spazio come il poliuretano espanso, copre le necessità dei compagni dando sempre un appoggio, respiro puro per la manovra di un Napoli dove ora tutto trova un senso, come una trama di un film di Nolan giunta all’ultima battuta della sceneggiatura. “Sono disciplinato e organizzato. Uso ordine e metodo per rendere la mia vita possibile”. Memento Napoli.  

Otto come ottanta milioni: un’opportunità ma pure una patata bollente. Perdi uno dei calciatori più decisivi del campionato, chi dice il contrario mente. Kvaratskhelia è un fenomeno, è tra i migliori esterni del mondo e se perdi uno dei migliori esterni el mondo devi rimpiazzarlo. O, almeno, ci devi provare. C’è un craque da 50 milioni, che pare essere perfetto per essere affidato alle sapienti mani di Conte: Alejandro Garnacho ha le sembianze del marmo che fu tra le mani di Agostino di Duccio, prima di essere donato all’immortalità da Michelangelo, che lo trasformò nel David. Datelo ad Antonio e ci divertiamo.

Nove alla leggerezza con cui David Neres spacca in due la partita. Con gli occhi del mondo addosso, per il caso Kvara e per un’eredità che pare a lui destinata, il brasiliano fa ciò che gli riesce meglio: danza sul pallone, o meglio con il pallone. Lo tocca, lo ammalia, lo addomestica prima col destro e poi col sinistro e poi viceversa. Non dà nessun riferimento, rallenta e l’attimo dopo ha già la sesta marcia, passa da 0 a 100 con la rapidità di una Lamborghini Veneno.  Un combustibile che si rinnova in modo perpetuo, una spina nel fianco degli avversari, più fastidioso nell’etichetta interna di una camicia.

Dieci alle lacrime del gigante, che si flette in due dalla commozione a fine gara nel ricordo di Daniele. Anguissa gioca un’altra partita di consapevole arroganza, culminata nella sassata da venti metri che distrugge le speranze, residuali, del Verona. Chi ha scalato l’Everest racconta che la vetta sembra sempre vicina, ma non arriva mai. La cima di Frank è ancora tutta da scorgere. E da scalare. Come calciatore e come uomo. Così forte e così fragile. Così apparentemente indifferente, così sensibile a tutto. Ha cercato con le mani e con gli occhi il cielo, l’eterno, una stella. Una scia che potesse riportarlo, per l’ultima volta, a scambiare lo sguardo col piccolo Daniele. Sei immenso Anguissa. Napoli ha un cuore che una grande lavagna, che se ci scrivi però non si cancella mai. 

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