.

Da 0 a 10: l’accusa shock di Rabiot, l’incredibile svista arbitrale, le perle dello studio Mediaset e Hojlund a Falsissimo da Corona

di Arturo Minervini

Zero a questo Zufferli, che si perde un cartellino rosso e mezzo. Una classe arbitrale ormai vittima delle proprie incongruenze, trainata verso il baratro da una generazione di fischietti scadenti, senza spina dorsale, che si piegano come le bandierine al vento. Rabiot da cartellino arancione, manco ammonito; Maignan pensa di essere in un film di Bud Spencer e schiaffeggia Politano: impunito. Nessuno riuscirebbe a spiegarlo meglio di De André: "Delle proprie superbie la maggioranza sta. Come una malattia, come una sfortuna, come un’anestesia, come un’abitudine”. Una pessima abitudine. Un virus a cui non esiste ancora rimedio.

Uno in più. Che vale più di uno. Fa provincia con le sue spalle larghe, protegge i compagni con la sola presenza in panchina, veglia su di loro e dispensa consigli dall’alto di una carriera da giocatore universale. Il ritorno di Lukaku, il suo esserci, la sua voglia di esserci, è di per sé un fattore, un quid da aggiungere a una ricetta vincente. Solo un osservatore distratto potrebbe non cogliere la potenza di quell’abbraccio, di quella corsa di Neres verso Big Rom per celebrare il suo gol. “Il rispetto è un atto d’amore”.

Due secondi d’anticipo su quello che accadrà. Lobotka è un visionario, ma le sue visioni diventano sempre realtà. Copre linee di passaggio ancora non esplorate, che diventano puntualmente reali. Sventa pericoli prima che nascano, svolge un lavoro da agente dei servizi segreti che rendono le vite sicure, senza mai finire sulle copertine delle prime pagine. Averlo o non averlo è vitale: quando non c’è è come affrontare una sfida di Muay Thai senza la conchiglia protettiva per gli zebedei. Stan ti salva la vita. E non solo quella. 

Tre centrali, tutti sul pezzo. Rrahmani e Di Lorenzo fanno parte di questa generazione di fenomeni, intoccabili in due scudetti, che qualcuno ogni tanto ha pure il coraggio di mettere in discussione. Come mettere in discussione la Pizza Margherita, che piace a tutti e costa meno di tutte le altre: follia. Il terzo è Juan Jesus, che non sorprende più, è da quando c’è Conte che non sbaglia una partita. Puntuale, vorace nelle mischie, capace di alzare la voce quando la gara lo necessita. La difesa vince le partite, non è solo un modo di dire, è una comprovata verità. 

Quattro giorni e poi la finale, che vale tanto sul piano sportivo ed economico. Sul tavolo da gioco la bellezza di 11 milioni di euro, una mano da giocatore con la lucidità del giocatore di poker. Soldi, tanti soldi, maledetti e subito. Però che squallore ragazzi, questi stadi a cui nessuno frega un ca**o del pallone, giusto per farsi qualche selfie, giocando a 4635 chilometri da Napoli, la città in cui si sarebbe dovuta giocare la finale di Supercoppa, in gara secca, tra Napoli e Bologna. Plata o dignità, parafrasando Pablo Escobar nella Serie Narcos.

Cinque ad un pregara e una telecronaca da incubo su Mediaset. Arriva Manna, mica gli chiedono della gara o del mercato del Napoli. NO. Gli chiedono di Raspadori alla Roma, di Conte che avrebbe più volte attaccato i calciatori, insomma ci si allena per i mondiali di sollevamento polemica senza averne nemmeno la struttura. Manna fa la faccia di chi dice: Ma dove sono capitato. E fa bene. Sulla telecronaca, Decibel in ribasso ai gol del Napoli, da parte di un Trevisani che da mesi ormai s’è messo a sparare a zero su Conte e continua a stare a bordo di una nave che ormai affonda. Preferisce avere torto da una vita piuttosto che ragione per cinque minuti.

Sei politico a Vanja, che fino a qui ha scroccato un viaggio in Arabia senza manco lavorare. Un’uscita in avvio di gara e poi qualche selfie da turista scattato da Milinkovic-Savic, mai veramente impegnato da un Milan impegnato più a dare calcioni e sberle che a provare, in qualche modo, a rendersi pericoloso. L’Allegrisimo all’apice della sua inefficacia, ogni tanto capita pure che il ‘Horto muso’ si riveli una boiata. 

Sette minuti di recupero. Se ci fossero stati ancora dubbi sull’inadeguatezza dell’arbitraggio, a spazzarli via arriva la cervellotica decisione sulla sonnolenta appendice del match. Qui ormai ognuno fa come gli pare, non esiste nessun parametro oggettivo, solo arbitri che in base all’umore deciso se ammonire, se dare recupero, se punire una sberla in faccia o meno. Sarà pur vero che ogni opinione è rispettabile, ma alcune, però, vanno rispettate a distanza di sicurezza. E Rabiot nel dopo gara ha il barbaro coraggio di lamentarsi per la direzione di gara. Siamo veramente stanchi di questo sistema che Franco Scoglio definirebbe al meglio: AD MINCHIAM. 

Otto volte ci ha già messo lo zampino in un gol in stagione. Quattro assist e quattro gol per David Neres, che qualcuno nello studio pregara Mediaset ha definito ‘deludente’ lo scorso anno (la più grande stronzata da quando l’uomo inventò il Cavallo). Il brasiliano usa la stupefacente tecnica del Matsugoro come in ‘Sampei’: si finge dormiente, poi con un guizzo sguscia via a tutta la difesa e deposita in rete l’1-0. Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, di chi sembra non essere interessato a nulla e invece prova in ogni momento ad azzannare la partita alla giugulare. Nel suo momento migliore da quando veste l’azzurro. 

Nove ad un Conte in continua tensione evolutiva alla Vegeta. Dopo aver preso mazzate, torna sempre più forte, più cazzuto, con una nuova idea per provare a cancellare le ferite. Abbassa Di Lorenzo e Politano, riforma l’automatismo della catena di destra ma ci aggiunge una spolverata di Neres. Rilancia Juan Jesus e ritrova un Lobotka anello di congiunzione ideale tra le due fasi del gioco. Col nuovo assetto ha già battuto Atalanta, Roma, Juve e Milan: quando il suo Napoli ha energia è più insuperabile di un ingorgo a croce uncinata. “La tua mente è come quest’acqua, amico mio: quando viene agitata diventa difficile vedere, ma se le permetti di calmarsi la risposta ti appare chiara”.

Dieci all’onnipotenza di Hojlund che spazza via De Winter e lo condanna ad una profonda crisi mistica. Rasmus è la chiave con cui Conte entra nelle parti più intime del Milan, in stile Alfonso Signorini, e ne abusa per tutta la partita al punto che Corona è pronto a dedicargli una puntata di Falsissimo. Davanti a Lukaku, si diverte a fare il Lukaku sul primo gol, mentre il secondo è col suo marchio di fabbrica: scatto bruciante e diagonale all’angolino. Potenzialmente siamo di fronte ad uno dei più forti attaccanti al mondo, uno che ha 22 anni e che in pochi mesi ha già fatto gargantueschi (adoro l’aggettivo gargantuesco) progressi. Fa sua la lezione di saggezza del Maestro Yoda Luke Skywalker ‘Fare, provare’ e poi riuscire: tenere i battiti del cuore sotto controllo è il segreto per vincere le maratone. E pure le partite.


Altre notizie
PUBBLICITÀ