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Da Zero a Dieci: gli schifosi che infangano la memoria di Astori, il labiale rubato di Insigne, i calcoli da bruciare e la follia mancata

di Arturo Minervini

(di Arturo Minervini) - Zero agli schifosi che sono riusciti ad infangare anche un momento in cui non c’erano bandiere, o vessilli da sventolare per rivendicare di appartenere a qualcosa. Ardeva nel petto il ricordo sincero di Davide Astori a San Siro, tranne che nel cuore di qualche bestia isolata che ha avviato uno squallido battibecco. Tutto così fuori luogo, piccolo, insignificante e squallido dinanzi ad un giudice impietose come la morte, che esige rispetto. Scusali Davide, potrà spiegartelo bene quando lo incontrerai dall’altra parte della strada il Principe De Curtis che ‘sti pagliacciate e fann sul e viv’. 

Un punto in meno dalla Juve, potenzialmente forse quattro. Con uno scontro diretto da giocare, niente ancora è da archiviare perché la fiamma della speranza è accesa come un torcione olimpico. Tutti quelli che dicono ‘è finita’ andrebbero messi al bando, isolati nella parte più buia dell’isola che non c’è come quelli che non credono alle fate. "Ogni volta che un bimbo dice: ‘Io non credo alle fate’, c’è una fatina che da qualche parte cade a terra morta". Ogni volta che un tifoso del Napoli dice: ‘Io non credo più allo scudetto’, c’è qualcuno che si gratta come Linò Banfi alla vista di Crisantemi. 

Due bilanci. Quello generale, che è già comunque straordinario e si stilerà alla fine. Poi c’è quello legato alla gara con l’Inter che può essere rivedibile, senza che si debba però essere accusati di essere catastrofisti. I fatti si analizzano perché, in futuro, si spera che gli stessi fatti possano evolversi in maniera ancora migliore. È la natura dell’uomo, è il dovere di un giornalista. I tifosi sostengono, qualcuno deve anche raccontare se alcune cose non hanno funzionato al meglio. Ha torto marcio chi non lo fa. Non fatevi mai convincere del contrario. Si chiamerebbe Regime.

Tre-zero come i 30 punti ancora in palio, come il 30 che certifica, accompagnato magari da una lode, l’eccellenza di un esame universitario. Ribaltando le teorie di Venditti, il Napoli vive la sua mattinata dopo gli esami (che mai finiscono), con una nuova consapevolezza: non dipende più solo da quello che farà la squadra di Sarri. Ecco cosa fare: prendere calcolatrice, penna, calendario, equazioni sull’incidenza sulla gravità del passato sotto l’equinozio della primavera, fare un pacco gigante e bruciare tutto in un falò, ma senza vanità. Sperare in passi falsi degli altri, sarebbe impoverire ulteriormente un animo in questo momento ferito. Questa nuova condizione impone di ritrovare il vecchio spirito, il vestito leggero e spensierato di un Napoli che a fare troppi calcoli, non è mai stato troppo capace. 

Quattro minuti appena in campo, quattro-due-tre-uno come miraggio. Un numero nel cervello, il tempo che scorre veloce, la gara che si incanala in un copione amaro. Passa il tempo, il Napoli sbatte sul muro nerazzurro (come aveva fatto all’andata), Sarri mette Zielinski (e questo lo sapeva anche Spalletti) poi esita, forse troppo per inserire il polacco. A furia di ripeterlo, poi alla fine rischi di convincerti magari che quello che sogni è troppo distante. Forse, invece, sarebbe servita solo un briciolo di follia. Una scintilla di coraggio da lanciare nella mischia, un fiammifero che desse una nuova luce ad una gara dominata dalle stesse tonalità. L’equilibrio è una dote meravigliosa, avere la forza di saperlo perdere per qualche secondo è l’unico modo che in natura permette di spiccare il volo.

Cinque gare contro Inter, Roma e Juve ed appena 5 punti raccolti sui 15 a disposizione. Sugli 84 punti totali disponibili, il Napoli ne ha lasciato per strada appena 14: di questi 10 sono stati perduti in scontri diretti. In 3 di queste 5 gare (le due con la banda di Spalletti e quella interna con la Juve) gli azzurri non sono riusciti ad andare in gol. Cosa ci insegnano questi numeri? Nulla, o poco, perché ovviamente le gare vanno analizzate guardando il sudore sulle maglie, le paure nei cuori, le debolezze che invadono le sinapsi. Un indizio, però, possono lasciarlo su una difficoltà del nostro attacco contro squadre fisiche ed organizzate. Sarà, probabilmente, il più grande rimpianto di questa stagione. 

Sei come voto medio alla squadra. Arrivano momenti, però, dove essere sufficienti non basta. Dove serve l'eccezionalità, dove devi provare a fare quello che non hai mai fatto per ottenere quello che non ha mai avuto. È mancata questa vocazione all’impresa, confortati da un controllo che l’Inter ha voluto consegnare anche di proposito nelle mani azzurre. Dopo il ko con la Roma, il Napoli non si rialza di scatto ma sceglie di sedersi all’angolo. Non è la prima volta nella gestione Sarri che il Napoli, dopo una batosta accusa il colpo, più nello spirito che sugli zigomi. Cinque punti guadagnati dalla Juve in due giornate maledette, sfortunate, stregate, sbagliate come un Negroni e che ti fa venire un gran cerchio alla testa. Di quelli che non vanno via, per tutta la notte. Di quelli che si mangiano il sonno, che alzi gli occhi e fuori è già giorno. E tu sei rimasto al centro del letto, con quel sapore amaro che niente è riuscito a lavare via dalla bocca.

Sette reti subite in quattordici trasferte. Se stessimo dando per scontato che Reina in una gara a San Siro contro l’Inter, avrebbe potuto indossare anche i guanti Bio del supermercato (senza prendere buste per carità, quelle si pagano) per sensibilizzare il mondo sul tema ambiente, vorrebbe dire che avremmo perso ogni contatto con la realtà. Quindi prendiamo un evidenziatore gigante, come il Pennello Cinghiale, è ficchiamocelo bene in testa. Per comprendere la solidità di questo Napoli, dovreste magari aver conservato dalle feste natalizie un roccocò in terrazza e provare, magari, ad addentarlo. Compreso vero? Nelle ultime cinque trasferte zero gol subite, ultima rete incassata ‘on the road’ da Reina quella di Belotti il 16 dicembre scorso. Se cercate motivi per sorridere questa mattina, prendete questi numeri e godetene tutti.

Otto metri non sono, ma i 7,32 regolamentari assolutamente si. Dimensioni che consegnano ad Insigne diverse possibilità mentre si invola verso la porta di Handanovic. Certe Notti la macchina è calda, dove ti porta lo ha deciso Dries (che assist). Certe notti ti senti padrone. Troppo Padrone. Quando invece, dovresti essere semplicemente più umile. Dovresti valutare la possibilità di abbandonare l’estetica e tuffarti nella sostanza. Spogliarsi dalle sovrastrutture del talento ed imboccare le armi dell’operaio che porta a casa la pagnotta. È quasi un trattato socio-culturale, Lorenzo che con quella scelta scellerata induce all’invocazione di divinità mai investigata dalla teologia mondiale. Dal labiale famoso di Totti ‘Mo je faccio er cucchiaio’ a quello pronunciato da Lorenzo con le mani che coprono il volto: “Ho sempre fatto il tiro a giro, stavolta non era buono?”. Quanto dolore, quanta sofferenza in questo amore che ci scorre nelle vene. Permettetemi allora un momento poetico: “Lorenzì, io ti voglio bene, ma non ti crucciare. E meglio che non finisco, altrimenti mi fai scomunicare”. E chest’è.

Nove ad un Napoli che ci permette di criticarlo dopo un pareggio a San Siro di quel tipo. Nove perché vuol dire che siamo diventati davvero grandi, che le aspettative sono alte e che la possibilità di vincere è sempre più tangibile. È un Napoli praticamente perfetto, che deve lavorare su quell’avverbio. Cancellare quel praticamente, smussare gli angoli di un’opera che è comunque un capolavoro. Anche se proveranno a scalfirla senza successo. Anche se ogni giorno provano a sminuirne il valore e l’importanza. Difendere la natura organica di una creatura così rara è un dovere di ogni essere umano. Immaginate Vincent Van Gogh che guarda un suo dipinto con aria insoddisfatta. La sua insoddisfazione non toglie nulla al valore assoluto dell’opera, ma è garanzia che quella successiva sia ancora migliore. Capito il concetto?

Dieci gare da giocare, da vivere, da ricordare. Il sipario è ancora aperto sul più grande spettacolo dopo il Big Bang. Altro che catenaccio, altro che conta solo il risultato. Altro che gli aiutino al Var, altro che Orsato che grazia Gagliardini. Il più grande spettacolo di questo campionato siamo noi. Che ci abbracciamo forte, che siamo in movimento. Che abbiamo fatto tutto. E tutto c'è da fare.Che siamo ancora in piedi. In mezzo a questa strada. A lottare. A sognare. A sperare che alla fine la ruota possa girare e possa arrivare ad illuminare anche noi, perché ce lo meriteremmo davvero. Non esistono missioni fallite per chi non ha mai abbandonato la missione di regalare gioia agli innamorati del pallone. Tra questo desiderio che ci spinge e questa paura che ci appesantisce, scegliamo sempre Napoli. Comunque.


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