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Da 0 a 10: gli sputi in faccia in tribuna, il mostro scoperto da Edo, le palle quadrate di Meret e la pesca miracolosa di Garcia

di Arturo Minervini

Zero all’assalto in tribuna stampa ai giornalisti napoletani. Sputi, minacce, birre lanciate nelle varie postazioni. Il campionario dell’osceno, ancora una volta, in uno stadio che ha più precedenti di John Herbert Dillinger. Un clima surreale, reso ancor più odioso dagli scontri tra le due tifoserie all’esterno dello stadio. Poi vogliono le famiglie allo stadio: ma i controlli dove sono? Dov’è la prevenzione? 

Uno in più. Garcia si aggrappa a De Laurentiis, e viceversa. Non potevano e non possono fare altrimenti col papocchio di cui sono stati responsabili, ed ora si spalleggiano come il Gatto e La Volpe. “È bello avere il presidente con noi” dice Rudi, che s’è ritrovato Aurelio più del presenzialista Paolini in questi ultimi dieci giorni. La ricetta dell’amore? A volte un colpo di fulmine, altre un mero compromesso di convenienza. Matrimonio d’interessi, speriamo che funzioni.

Due versioni, come alcune foto con e senza filtri di Instagram. C’è un Napoli che è radioso, potenzialmente devastante, che cavalca frammentariamente l’onda dello scorso anno. Poi, c’è un altro Napoli. Instabile, insicure, che fai i conti con la fragilità che deriva da una nuova condizione. E fare i conti con il cambiamento non è mai semplice, questa squadra deve imparare a gestire la propria metamorfosi. Restare serena, come Gregor Samsa, dinanzi alla mutazione.

Tre volte titolare su nove: riecco Mario Rui. Il portoghese va recuperato, per gli equilibri che governa, dentro e fuori dal campo. La fascia sinistra deve tornare ad essere un fattore, con Mario che spinge e Kvara che martella come Thor. È l’ossigeno che serve al 77 per trovare ancora più spiragli, e l’ossigeno è un bene troppo prezioso per essere abbandonato in panchina. Che pace sia, e che sia duratura dopo il chiarimento col suo agente Giuffredi. Il Professore è l’uomo chiave di ogni piano.

Quattro parate a mani aperte, da portiere con le palle a cui forse giravano un bel po’ dopo le critiche esasperate delle ultime settimane. Alex, che per molti deve parare l’impossibile e poi se para fa solo il suo dovere, s’è infilato dentro ad un equivoco gigantesco, probabilmente irrisolvibile. È divenuto Icona, di un partito e di quello opposto. Non c’è ragionamento, ma solo furia cieca. Non c’è analisi, solo rancore. Di quelli che sbraitano, che è inadeguato, di quelli che dimenticano che in un campionato dominato ha commesso giusto mezza sbavatura. Meret affida al campo la risposta. E dall’altra parte un silenzio assordante risuona nell’etere.

Cinque punti dall’Inter, in attesa che il Milan incroci la Juve e venga poi al Maradona. In mezzo c’è Berlino, che è un grande crocevia per comprendere lo stato di salute del gruppo. Tabucchi scrisse: “Spesso a Berlino succede: una giornata afosa e all’improvviso arriva un vento freddo che fa mulinellare le cartacce e cambiare l’umore. è come se portasse ricordi, nostalgie, frasi perdute”. Non sia mai che in terra tedesco ci ricordiamo di giocare da dominatori per tutti e novanta benedetti minuti? 

Sei allo sforzo, di tutte le parti in causa, di uscire dal tunnel come Caparezza. “Dobbiamo rispettare Garcia” dice Politano, l’ultimo dei contestatori contro la Fiorentina. Perché un punto va chiarito: nessuno ha mai remato contro al tecnico. Le reazioni sono state istintive, ma la squadra non s’è mai tirata indietro. È stata, al massimo, vittima delle incoerenze del tecnico e le ha subite, ma non ha mai remato in direzione contraria. Questa è già una grandissima notizia.

Sette e mezzo legittimo per Cajuste, la vera ‘Matta’ della trasferta veronese. Pesca il jolly Garcia, col capellone Jens che si agguanta al guscio della sua capigliatura e butta giù a spallate le resistenze scaligere. Incursore col tempismo del corriere di Just Eat, interditore infallibile e bomber mancato solo per puro caso in almeno due occasioni. Con la pazienza delle onde, di andare e venire. Una brezza marina che ha portato area nuova nei polmoni azzurri. 

Otto volte coinvolto in un gol: quattro assiste e quattro gioie personali per Politano in 515’ giocati. La calcolatrice racconta che Matteo ogni 64’ fa segnare un gol ad un compagno o lo segna lui. È nel suo momento migliore in azzurro, nel pieno della sua maturità pallonara. Non è un primo violino, ma è un meraviglioso accompagnatore: lo Scottie Pippen di Michael Jordan ai Chicago Bulls, uno che sa prendersi le proprie responsabilità e sa fare pure il lavoro sporco. Esce stremato e tra una virtuale Standing Ovation del popolo partenopeo. Più devastante dei fuori-onda di Giambruno.

Nove a sorpresa. Raspadori è il Cavallo di Troia che si insedia nella metà campo veronese: sembra un regalo per i difensori che credono di poterlo arginare facilemente, ma si rivela presto fatale per l’Hellas. È ispirato Giacomo, che ci prova con la botta da fuori e con le sterzate da funambolo manda in porta Politano. Attrae come una calamità la linea difensiva, poi mette in pratica la mossa Kansas City: tutti pensino che vada in profondità, lui invece arretra. E lascia praterie a Kvara. Chiamatelo Tony Pisapia: l’uomo in più.

Dieci al talento scoperto da Edo De Laurentiis (si scherza). Kvaratskhelia è come Will Smith: già leggenda. È un racconto popolare, che si tramanda, come le magliette che da Napoli a Tbilisi cingono le spalle di tutti i piccoli sognatori di pallone col numero 77. Khvicha regna sovrano su Verona, con la sua freccia che colpisce al cuore la resistenza veronese, sterzando più dei protagonisti di ‘The Fast and the Furious: Tokyo Drift’. Con la nonchalance dell’uomo a cui Dio ha destinato un talento fuori dal comune, fa girare il pallone dal destro al sinistro come fosse un equilibrista che sfida le forze del mondo. Poi si annoia dell’estetica e passa alla pratica: due pere e tutti a nanna. Auguri allo sposo!

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