Da 0 a 10: il clamoroso fuorionda, la sommossa salva-Juve, le babbucce di Meret e gli agenti segreti di Spalletti
Zero a chi finge di non capire. A chi non condanna un pensiero malato, un delirio di onnipotenza che ha macchiato un altro decennio di pallone in Serie A. Le intercettazioni, i documenti raccolti, le ammissioni di qualche calciatore raccontano di un castello costruito senza fondamenta. Che i punti siano 15 punti o 9 , cambia poco. In questi anni la Juve ha schierato calciatori senza averne la possibilità. Ha falsato la competizione. Come già successo nel 2006.
Uno l’inutile cartellino rimediato da Ndombele al 94’. È un dolce nel forno il francese, che senti il buon profumo e ci riponi pure grandi aspettative, ma la cottura pare non ultimarsi mai. Da settimane sembra poter arrivare il suo momento, ma il suo momento, quello in cui fa qualcosa di determinante, non arriva mai. Come Godot, lo aspettiamo ma non siamo più tanto convinti che possa arrivare. Sveglia!
Due ali aggiunte, un tocco di leggerezza ad un calcio che plana inesorabile verso la vittoria. Gli agenti, nemmeno tanto segreti, Mario e Giovanni trasportano boccate d’ossigeno in un pomeriggio claustrofobico, con la Salernitana più barricata dei protagonisti di un film in cui ci si prepara all’arrivo di un uragano. Escursionisti per vocazione, Rui e Di Lorenzo si inerpicano lì dove solo i coraggiosi osano. “Se avessimo ali, dalle cime spiccheremmo il volo”. Eccole le ali, non di cera, di Luciano.
Tre punti ma Luciano non s’accontenta. È una gemma la conferenza di Spalletti, che racconta di una partita di calcio come una scatola, in cui ci devi mettere tante cose. E in quella scatola, manco fosse il vaso di Pandora, il mister ci vorrebbe mettere sempre tutto. Non s’accontenta, perché sa che per godere bisogna stare con le antenne dritte fino alla fine. Sono 276 (le vittorie) le scatole ben confezionato dall’artigiano Luciano in Serie A.
Quattro tentacoli, come una cubomedusa. Il veleno di Frank si inietta nelle vene dell’avversario con un rilascio graduale, ma inesorabile. Anguissa all’Arechi giganteggia, si muove con cura per non calpestare gli avversari che sembrano arrivare dalla pellicola “Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi”. Divario fisico e tecnico incolmabile, come la distanza che si crea tra te e la tua compagna quando ti chiede di andare all’Ikea nel pomeriggio in cui gioca il Napoli. Gelo.
Cinque, anzi, cinquanta su cinquantasette. Al giro di boa il Napoli è più solo di Tom Hanks in Cast Away, ma ora inizia la parte più difficile: il rientro. C’è da riportare la nave in porto, bisogna colmare la stessa distanza gestendo lo sforzo e l’emozione. Come per Ulisse, la via verso casa nasconde insidie che possono assumere le sembianze più bizzarre: “La vita del mare segna false rotte, ingannevole in mare ogni tracciato”. Quindi orecchie tappate, l’unica sirena da ascoltare è Partenope. Riportatelo a casa.
Sei. Ce ne fanno sei, va bene così. Durante Salernitana-Napoli l’orecchio più attento percepisce questo fuorionda, strappato al pensiero di un tifoso granata, che racconta più di tutto il resto del dominio azzurro. A ribadire il concetto, qualora servisse, lo stesso Davide Nicola: “Il Napoli ha tritato tutti”. Contro questi assatanati, perdere 2-0 può essere pure un grande affare.
Sette agli economisti improvvisati. Rieccolo l’esercito dei benpensanti, tutti di nuovo in guerra a sparare frasi a caso, concetti masticati, populismo da quattro soldi per elaborare una strategia difensiva. La sommossa popolare salva Juve è partita, con le minacce di disdetta a quegli organi di informazione che hanno sempre coccolato il mondo bianconero, strizzando pure l’occhio agli scudetti truffaldini esposti con fierezza all’esterno dello stadium. Tragico e comico che si mischiano senza il giusto equilibrio, un senso del ridicolo che va ben oltre la decenza. Macchiettisti, senza sorrisi, e con tante macchie.
Otto a Meret, che piazza la parata da fenomeno nel momento più delicato, come accaduto contro la Juve. Dopo 80 minuti con in vestaglia e le babbucce a forma di unicorno, Alex reagisce da fenomeno all’unico pericolo granata, a dimostrazione di una tenuta mentale sempre più solida. Qui non si tratta di saper solo parare, qui c’è una capacità di tenere altissima la concentrazione anche quando hai contro un avversario meno belligerante di un monaco tibetano dopo 18 camomille. Un proverbio arabo recita: “Non arrenderti. Rischieresti di farlo un’ora prima del miracolo”. FenomenAlex.
Nove a Victor, sempre a Victor. Osimhen è un messaggio vocale su whatsapp perennemente sul X2, mentre tutti gli altri vanno a velocità normale. Non c’è oggetto volante che non possa essere controllato, o che comunque non provi a controllare. Il segreto di questo rapace è questo: la fede incrollabile verso il futuro, la voglia di incidere profondamente su tutto ciò che accadrà. Non c’è fatalismo, ma solo una spietata determinazione degli eventi, una percezione sensoriale amplificata di tutto il vasto mondo del possibile. Pessoa scriveva: “Era attento all’inesistente, forse sperava ancora”. Osimhen è inarrestabile per questa sua attenzione a ciò che ancora non è accaduto, ma che potrebbe accadere in qualsiasi momento.
Dieci al capitano, e che capitano. Il gol al minuto 47 è operazione a cuore aperto del Dottor House (nel senso che di questo Napoli è il padrone di casa) Di Lorenzo, un coltello che affonda tra le crepe della Salernitana come acqua che si insinua tra gli spazi di una campagna. Ti fa male, rende meno solido il terreno sotto i tuoi piedi, ma nemmeno te ne accorgi. Tutto ciò che un leader deve fare, cogliere ogni aspetto, annusare eventuali malumori, coprire le perdite al costo di sacrificare se stesso. Quello che impressiona di Giovanni è la capacità di visione periferica, pari a quella di tua madre a caccia di una zanzara con una pantofola tra le mani. Infallibile.