Da 0 a 10: il clamoroso gesto di Klopp, lo scandalo social, lo sfogo di Meret e il retroscena su Spalletti
Zero a quel distrattone del Social Media del Liverpool, che s’è dimenticato di taggare i calciatori nel tweet (gli unici ad essere abusati nel loro soggiorno partenopeo) in cui metteva tutti in preallarme su potenziali aggressioni, rapine, sventramenti vari che avrebbero potuto subire i tifosi a Napoli! Roba che al confronto i giorni in Honduras di Genny Savastano sono stati una passeggiata di salute. Racconta uno scioccato Alexander-Arnold: “Quand stev a Fuorigrotta stev' rind a na capann..e nsiem' a me stev nu georgiano che dribblava…”
Uno il gol preso, che nulla toglie alla Lego House della fiducia di Meret. Alex s’è liberato dalle catene e pure da quel guinzaglio che lo frenava nelle uscite. Legge la gara, rischia, si prende qualche azzardo e fa pure le aperture a trenta metri coi piedi. Si concede anche il lusso del sensazionalismo sul colpo di reni che spegne ogni velleità di rimonta Reds. Come l’amico di Fred Uhlman: ritrovato. Una notte che è come un lungo sfogo, una rivincita tanto attesa.
Due metri di spregiudicatezza e razionalità nello stesso corpo. Kim sa eccedere, senza eccedere, sa rischiare, senza rischiare: conosce alla perfezione l’armonia dei contrari. In questo colosso dal viso gentile si intravedono i segni profondi di un’educazione orientale, una meticolosità che gli consente di orbitare sulle fasi decisive della partita senza mai lasciare tracce d’errore. Se pensi di essere bravo in qualcosa ricorda , c'è sempre un bambino Asiatico pronto ad umiliarti. “Voi orientali, se vi organizzate, a noi occidentali ci fate un culo così”. Parola di Tony Pisapia.
Tre punti che manco ce ne frega. Chi l’ha guardata la classifica? Non è stata una partita, ma un viaggio senza muovere nemmeno un passo. Un’estasi collettiva, da conservare per sempre come una notte in cui Davide butta giù Golia. Arrampicarsi sui giardini di Babilonia, scrutare una bellezza che è ossigeno, che si irradia come un fascio di luce di primo mattino, che non riesci nemmeno a tenere gli occhi aperti. Un Napoli troppo bello, che ancora non ci si crede. Che ti prendi a schiaffi da solo, per capire se sogni o sei desto. Le scuse di Klopp ai propri tifosi rendono la portata della clamorosa batosta subita dai Reds.
Quattro gol al Liverpool con Ciro in maglia Maradona sugli spalti. Le stelle non stanno a guardare, il cielo è lavagna che accoglie i sogni di chi sa ancora stupirsi per l’amore incondizionato. Di un ragazzo che senza inviti ufficiali, si presenta allo stadio come tifoso, non da grande ex. Mertens ieri non era Mertens, era Ciro che torna a casa. Che vuole ritrovare la sua gente. È un divo al contrario, il ribaltamento del cliché del calciatore da osannare. Ciro è tornato perchè ne aveva bisogno, perchè l’assenza è il più grande metro da utilizzare per ogni amore. Ricordare, nella sua etimologia: dal latino re-cordis, ripassare dalle parti del cuore. Un cuore azzurro. Per sempre. Che nessuna maglia potrà mai cambiargli colore. Manco mezza tonalità.
Cinque passi e ti ammazza come una mossa letale di Uma Thurman in Kill Bill. Lobotka non ti minaccia, non incute timore, nemmeno ti sfiora, eppure ti manda al tappeto senza forze. Pratica silente “la tecnica dell'esplosione del cuore con cinque dita”, imprimendo con leggerezza una pressione che risulta poi fatale alle arterie dell’avversario. Tutti l’abbiamo avuto un amico così, che ti risolve tutti i guai e finisci pure per snobbarlo. Che c’è sempre, che sa sempre quel che ti serve. Come l’Oki: Stan sa dove ti fa male e previene ogni dolore.
Sei un ragazzino argentino con lo stemma della Champions tatuata sul braccio. Giovanni Simeone aveva quattordici anni sotto la Curva del Maradona, mentre piangeva e baciava lo stemma della Champions League. Non erano passati tredici anni, il nastro si era riavvolto proprio al giorno in cui l’aveva fatto quel tatuaggio. Un sogno cullato con la fatica della gavetta fatta, prima dell’offerta del Napoli che ha spazzato via tutti i dubbi. Che gioia. Che lacrime. Che emozione indelebile. Piangi e godi Giovanni. E noi con te. Come te. Per te.
Sette al sangue freddo di Spalletti. Che dentro ha un vulcano, ma davanti alle telecamere fa monaco tibetano. Conosce le insidie della dialettica, le trappole che una notte di follia collettiva porta con se. Attende lo Spezia, vuole vedere gli stessi occhi e lo stesso appetito. C’ha un magone latente perchè lo scorso anno avrebbe voluto maggiori tributi per la qualificazione in Champions. Deve recitare la parte del pompiere, che paura non ne ha ma sa bene che qui si passa dall’esaltazione alla tragedia alla velocità di Marcell Jacobs.
Otto al ritorno di Pietro il Grande. Una visione eclettica del ruolo di centrocampista, con la licenza di uccidere e la passione per la poesia. Zielinski si diffonde a macchia d’olio sul terreno di gioco, vince da dominatore la sua partita di Risiko conquistando manco fosse Giulio Cesare porzioni di campo nemico. Fa crollare una ad una le certezze dei Reds, pianificando con la scrupolosità del professore de La Casa di Carta ogni sua mossa. “Potresti realizzare tutti i tuoi sogni senza far del male a nessuno”. Ti uccide dolcemente, come una canzone che non ascoltavi da un po’. E avevi maledettamente voglia di riascoltare.
Nove all’oggetto non identificato con la maglia 77. Rilevazioni di forme di vita aliena hanno mandato in tilt i computer dell’Area 51: non può appartenere a questo mondo Kvaratskhelia, che alla prima in Champions prende a martellate manco fosse Thor tutto ciò che prova a contenerlo, trattando Alexander-Arnold come fosse lo sparring partner di quarta fascia. C’è qualcosa di speciale negli occhi di questo ragazzo, nei movimenti che omaggiano i grandi del passato, nella fisicità che non pare poter appartenere a chi è baciato da quel talento. Khvicha s’è tuffato nel fiume Stige, senza lasciare asciutto nemmeno il tallone. Ma solo a me batte forte il cuore quando il pallone arriva dalla sua parte? Stiamo calmi, però… TI AMO.
Dieci a Frank che decide tutto lui. Che gli devi chiedere il permesso se vuoi sorpassare il centrocampo, che si mette a roteare sul pallone manco fosse Nureyev col fisico del corazziere. Tutto quello che un uomo può fare, in una partita di calcio, in 90 di dominio imbarazzante: non solo diga, ma pure architetto. Un dominio mai messo in discussione, una tirannia che non ha concesso nessuna replica. Perchè non c’è stata mai la possibilità di gareggiare al livello di Frank. Come il grande Alì: “Sono il più grande. Non solo li metto K.O, ma scelgo anche il round”. E allora fai un po’ come ti pare Anguissa.