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Da 0 a 10: l’umiliazione a Meret, la frase oscena di Mourinho, la tortura Osimhen e Karsdorp in delirio sotto la Curva

di Arturo Minervini

Zero tiri nello specchio. La strategia di Mourinho è come quella del Bill di Tarantino all’apice del suo masochismo: non concedere a Meret la possibilità di riscatto dopo l’errore della scorsa settimana. Josè ‘umilia’ così Alex, col solito catenaccione e manco mezzo tiro per sporcare i guanti: sono già disponibili Vinted, sono come nuovi. Un affarone.

Uno a Karsdorp, mattatore assoluto della serata. Dopo 11’ esulta e carica il pubblico per aver conquistato una rimessa laterale, da lì in poi un crollo inesorabile. Viene graziato per aver provato ad incidere con i tacchetti le 7 stelle di Hokuto sulla faccia di Olivera, ma Kvara lo manda in tilt nel finale e finisce aggredendo l’arbitro con il primo caso al modo di calciatore che prova a spingere l'arbitro e invece si auto-spinge all’indietro. A inizio notte leoni, a fine notte…

Due episodi simili, due gestioni diverse. A Firenze, per il rigore assegnato all’Inter, Valeri non viene richiamato al Var a rivedere l’azione. A Roma, invece, Irrati va a rivederlo e cambia la decisione dal campo. Difficile spiegare come due casi simili vengano gestiti con tale difformità procedurale e nella decisione finale diametralmente opposta. Opinione personale: non fischierei in nessuno dei due casi. Con una differenza sostanziale: il Napoli avrebbe vinto comunque, l’Inter avrebbe due punti in meno. Ingiustizie.

Tre gli assist di Politano in campionato. Più che un assist, quello dell’Olimpico, è un atto di fede: pallone lanciato lunghissimo, Osimhen che mangia tre metri a Smalling e lo beffa con la maglia col destro. Matteo, senza nulla togliere al tuo piede educato, ma così siam bravi tutti: come sfidare Flavia Vento al Certamen Ciceronianum Arpinas. Ti piace vincere facile. 

Quattro secondi prima della fine. Irrati ferma il Napoli in attacco, pur avendo anche ammonito Lozano pochi secondi prima e dovendo dunque allungare il recupero. Gli arbitri devono SMETTERLA di fare ciò che gli pare, di prendere il regolamento e usarlo come una fisarmonica che si flette tra le loro mani. Non è accettabile, tra tanti elementi soggettivi vanno almeno tutelati i dati oggettivi. “Quanto è misera la vita negli abusi di potere”. 

Cinque vittorie in trasferta su sei. Cadono Lazio, Milan e Roma sotto i colpi di un Napoli che sembra essere addestrato come le teste di cuoio: non c’è bunker che non può essere espugnato. Gare di sofferenza, di coerenza con le proprie idee, di protagonisti sempre differenti: da Kvara a Simeone a Osimhen. Com’è profondo il mare da cui Spalletti può attingere opzioni sempre nuove. “Il pensiero come l’oceano. Non lo puoi bloccare. Non lo puoi recintare”. 

Sei e mezzo tendente al sette per Olivera, che addomestica l’arrembante Zaniolo opponendo lo stesso livello di fisicità. Non arretra Matias e pure quando sbaglia ci mette pure una pezza a differenza del Ragazzo Fortunato di Jovanotti. Compatto come un cubo, quando la gara si fa battaglia si esalta come un fan dei Pooh quando parte ‘Uomini soli’ ad un concerto: Matias col dopobarba che sa di pioggia e la soluzione sempre pronta nella Ventiquattrore. 

Sette punti di vantaggio sulla Roma nonostante l’osceno teatrino messo in piedi da Mourinho. Il Josè Horror Show fa il verso, in una versione triste e ingiallita, al Time Warp: fallo, rifallo e ripetilo di nuovo. Per 90’ mima situazioni surreali (arriva a chiedere il giallo per simulazione a Ndombele), come uno che sa di aver perso già prima di iniziare e snocciola frasi oscene nel dopo gara. La verità è che Josè aveva una paura tremenda di questo Napoli, che ha puntato sulla forza della disperazione per caricare i suoi. Ha fatto la figura del codardo, che affronta miseramente un ineluttabile destino. Da Zero Tituli a Zero Tiri:  ‘a fine d’o juorno sta tutta ccà.

Otto a Kim che ci protegge come Padre Pio sul cruscotto. È una parete invisibile, l’ozono che tiene al sicuro il pianeta Napoli e rende l’area più leggera e respirabile. Oscura tutto l’orizzonte giallorosso, anticipa con l’azione il solo pensiero del rivale: gioca una partita che è collocato in uno spazio temporale differente, come la Regina degli Scacchi ha nella mente una proiezione anticipata della partita che andrà a giocare. Con la vocina nel cervello che rimbomba: “È il tuo destino, afferralo”. Extraterrestre portami via. 

Nove al terrorismo psicologico di Osimhen, che si infila sotto pelle come un graffio a mani nude su una lavagna. È uno sfinimento, per gli avversari, tenere a bada uno che rincorre ogni pallone come se fosse l’ultimo della vita. C’è un fatalismo accattivante nell’ostinazione di Victor, che sul gol imita uno skipper di America's Cup curvando mentre il mare ti porta da tutt’altra parte, essere più forte del mare stesso, padroneggiare tutti gli elementi con quell’insana follia su cui si regge il numero 9 del Napoli. È il Cappellaio Matto di Spalletti, che va per il campo urlando “Ti svelo un segreto: tutti i migliori sono matti”. E le grandi imprese nascono dalle pazze idee e le pazze idea necessitano di un sognatore che prende a testate il muro del possibile per accedere alla stanza dell’impossibile. Veni, vidi, (scassai tutto) Victor.

Dieci gli altri, anzi molti di più. Segna Osimhen, ma è solo l’appendice di un corpo unico, l’estensione dell’unità centrale chiamata Napoli e diretta magistralmente da Spalletti. Non c’è nessun grado di separazione in questo processo osmotico di crescita, è un racconto formativo che viene tramandato con l’entusiasmo di chi sa di essere scrittore e narratore allo stesso tempo di una piccola impresa. Un blocco unico, carbonio che si assemblato dando vita ad un diamante che brilla in mezzo al cuore. Tu che sei diverso, Napoli. Tu, che hai cancellato i rimpianti, i rimorsi, le occasioni perse. Che hai azzerato ogni impedimento del passato. Che affronti l’unico tempo che si possa concepire: il presente. Entusiasmo. Entusiasmante. Ci lasci senza fiato, senza parole, senza altri pensieri. Dittatore di questi giorni. Tiranno dei nostri pensieri. È così bello che non sembra vero. 

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