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Da 0 a 10: la bugia su Ronaldo, la cura shock di ADL per Meret, l'annullamento di Osimhen e la vera colpa di Spalletti

di Arturo Minervini

Zero idee. C’è stato un punto di Napoli-Lecce in cui sembrava di viaggiare su un treno senza binari, con nessuna idea e poca voglia di indirizzare il proprio destino. Come un criceto che gira nella propria ruota, una sensazione orrenda di déjà vu per i punti buttati lo scorso anno al Maradona contro le piccole. Un incubo. 

Uno il ritmo, sempre lo stesso, compassato: come quegli istruttori di social dance che fanno lo stesso passo su qualsiasi musica, che pure su Another brick in the wall ballano l’Hully gully.  E mentre scorreva questo primo tempo indolente, il pensiero viaggiava al metronomo di questa squadra seduto in panchina: Lobotka come Fausto Leali: “Mi manchi, posso far finta di stare bene  ma mi manchi’. L’unico che può giocare al posto di Stan, per caratteristiche, è il solo Stan. Al massimo, adattandolo, Zielinski. Gli altri no. 

Due pareggi, come due passi indietro speriamo per prendere una rincorsa verso un salto ancor più lungo. È un Napoli da forgiare, nella testa e nelle gambe, nella convinzione di imboccare una strada nuova e lasciarsi alle spalle le incongruenze, le polemiche, gli addii di un estate sessantottina per quanto rivoluzionaria. Tra i punti in comune del pari di Firenze e l’1-1 con Lecce una difficoltà a creare nitide occasioni da gol. Ci rifletta Spalletti. 

Tre parole: niente di concreto. Giuntoli da vecchio filibustiere del mercato, spegne l’incendio Cristiano Ronaldo. Ma qualcosa c’è stato, eccome se c’è stato. Jorge Mendes ha provato in tutti i modi a tessera la tela, ma come Penelope si perdeva sempre un pezzo dopo aver raggiunto un certo punto. La gara col Lecce, il pensiero ad uno con la personalità di Ronaldo l’ha fatto viaggiare, immaginando ancora una volta qualcuno che prendesse questo Napoli nel bel mezzo delle sue paure e lo traghettasse fuori dal più grande nemico di questi anni: se stesso.

Quattro minuti dopo il vantaggio l’amnesia, la seconda, che pesa come un cigno macigno. Prima il rigore provocato, poi la libertà inaccettabile concessa a Colombo: Ndombele è mefistofelico per la scelta scenica dei tempi per pugnalare la squadra. Come olio e acqua, il francese non si miscela mai con i compagni di squadra vagando come corpo libero nel flusso della gara. Aveva maledettamente ragione Walter White: “L’anima...è sempre questione di chimica".

Cinque a Giacomino, l’uomo più atteso. Che induce pure Spalletti a cambiare modulo, un guizzo di maggiore libertà che si rivela invece soffocante. Raspadori annaspa, lì tra le linee, senza mai capire realmente dove posizionarsi, come interagire con i compagni. Imprigionato, dentro ad un abito che ancora deve sentire suo. “Se al mattino spacchi le pietre, al pomeriggio scavi le buche; se al pomeriggio scavi le buche, al mattino spacchi le pietre”. Incatenato.

Sei cambi: assai. Atto di estrema presunzione di Spalletti, o di lucida incoscienza, per il tecnico che dopo ci racconta che i calciatori avevano bisogno di tempo per conoscersi. E non lo sapeva? Lo sapevamo tutti, che mettere tutti questi esordienti lanciati in campo come i bastoncini per giocare a Shangai fosse un rischio non calcolato. Ogni eccesso, che sia prudenza o incoscienza, presenta sempre un conto salato da pagare. Se vero è che “Il successo è l'abilità di passare da un fallimento all'altro senza perdere l’entusiasmo”, meglio pensare subito alla Lazio. E ripresentare la squadra migliore. Questo Napoli sta commettendo l'errore di pensare troppo al domani. 

Sette sulla schiena, il guizzo del gol ma l’emblema di alcune difficoltà. È lesto Elmas nella zampata dell’illusorio vantaggio, ma la sua collocazione in campo suscita ancora qualche perplessità. Spalletti lo inserisce ‘per coprire Ndombele’, ma questo finisce per togliere ampiezza alla manovra e infilare il Napoli nello stesso vicolo cieco ad ogni azione d’attacco. Allargare il campo contro una squadra che si difende con tanti uomini era un dogma da non sconfessare.

Otto punti in quattro giornate: nessun disastro, ma la rotta è da correggere. Anzi, da impostare. Dobbiamo ben capire perchè il calcio verticale presente nella testa di Spalletti, resti concetto discontinuo, con applicazione balbettante dinanzi ad avversari che concedono poco spazio. Si percepisce, come avveniva lo scorso anno, il timore di uno spartito che non contempli soluzioni alternative, con un direttore d’orchestra troppo innamorato di se stesso per valutare nuove contaminazioni musicali.  

Nove tocchi, nel primo tempo. Osimhen viene abbandonato e si abbandona, come un sassolino sulla spiaggia che si lascia orientare dalla corrente. Colpa di Victor e colpa della squadra, di un sistema che per 90’ non gli consente mai di sfruttare le sue caratteristiche. Più isolato di Pablo Escobar in Narcos che attende altri tipi di rifornimenti, il nigeriano deve accontentarsi di buttarsi in qualche mischia a centro area, senza mai trovare il suo migliore amico: lo spazio. Se non sfrutti Osimhen per quelle che sono le sue qualità, fai male a Osimhen e pure al Napoli. Giocatore devastante, ma mono-dimensionale in tutta la sua straripante esuberanza fisica.

Dieci all’ultimo giorno di mercato, che porrà fine ai tormentoni estivi più insistenti di un pezzo di Fedez. Nella notte in cui Navas sfuma, Meret si mette a parare un rigore (fatto ribattere): poi dicono che le stelle stanno solo a guardare. Una gestione pessima, davvero pessima, di una situazione che ora trova la definitiva svolta: Alex resta e rinnova. E dovrà esser bravo il club a far sentire quella fiducia mai realmente percepita da questo ragazzo che ha giocato fino a ieri sera col cartello ‘Provvisorio’ attaccato alla schiena. De Laurentiis si assume il rischio di affidare la porta a un ragazzo che sa perfettamente di non essere la prima opzione. Una bomba a orologeria piazzata al centro del soggiorno. Forse, per stimolare una reazione, serviva uno shock emotivo al ragazzo. Il Napoli ha scelto di fargli passare l'estate da precario: il tempo dirà...


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