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Da 0 a 10: Spalletti distrugge il paraculo Pep, il morto sulla coscienza, Glasner 'buffunciello' e il trauma di Anguissa

di Arturo Minervini

Zero alla gita organizzata al centro storico. Stuprata Napoli, la logica, la storia. I tifosi tedeschi hanno pisciato sulle nostre istituzioni, si sono insinuati nel nulla organizzativo di una nazione allo sfascio, innescando una prevedibile reazione a catena degli scellerati ultras del Napoli. Mancava solo il red carpet e la consegna di statuine dorate nelle categoria: Peggior scenografia, Schifosi effetti speciali, Disastrosa regia. Ma si può portare 400 svitati e violenti in un corteo che termina nel cuore pulsante della città? Non c'è scappato il morto per caso, per puro caso e dopo ci saremmo dovuto sorbire tutta la retorica da quattro soldi. 

Uno il tiro in porta in 180 minuti, con Meret meno impegnato di Checco Zalone all’ufficio Caccia e Pesca in Quo Vado. Inoperoso Alex, che si gode un’organizzazione difensiva che reprime sul nascere ogni pensiero offensivo del Francoforte. Tedeschi costretti alla resa preventiva come Massimo Troisi in Ricomincio da Tre: “Guarda che se non parli forse ti torturiamo, immediatamente parlavo, scrivevo, si nun capivano facevo 'nu disegno! “

Due sogni nel cuore, perchè un cuore non è mai troppo piccolo per accogliere un nuovo pensiero stupendo. Scudetto nella testa, Champions nella testa e gli occhi sono belli aperti, sbarrati, inumiditi da una lacrima di gioia e commozione. Una generazione in attesa, una città che s’è data un appuntamento ancora senza data, per una festa che sta per esplodere nel petto come un chicco di mais. E che poi la fame stimola fame e magari devi farne due di feste. “Peppiniello, le pizze passano a due…”. Volesse il cielo. 

Tre le C invocate da Spalletti: serviranno tutte. Perchè ce l’ha insegnato il Woody Allen nell’incipit di Match Point: “La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita”. In Champions ci vuole Culo. Una C chiama l’altra. Una pallina che rimbalza sul nastro e poi decide da che parte del campo cadere. Un sorteggio che ti mette di fronte una squadra nel suo momento peggiore o migliore. Il Napoli è forte. Stratosferico. Una competizione come la Champions, però, la vinci anche se la Dea Fortuna soffia alle tue spalle. 

Quattro a quel paraculo di Pep, che sto giochino lo ha già fatto in passato e sappiamo com’è andata a finire. Fa bene Spalletti a rilanciare la palla nell’altro campo: “Loro spendono 900 milioni e noi 9” punge Luciano, che come Jovanotti sa bene che i complimenti costano poco. Guardiola ha una corazzata, la Champions è per il suo City una gravosa maledizione per la valanga di milioni spesi. Il Napoli vola leggero, con la spensieratezza degli ‘Underdog’ che si ritrovano al ballo del liceo e non hanno alcuna intenzione di smettere di ballare. Meglio ascoltare la musica, che le lusinghe.  

Cinque pappine, sia gentile. Alla vigilia Glasner o’ buffunciello come Tony Tammaro per impressionare la sua ‘Patrizia’, nel dopo gara si presenta mansueto e bastonato e riconosce l’imbarazzante superiorità del Napoli. In due gare s’è evidenziata la stessa distanza che c’è tra la tua dieta ed il pranzo da tua nonna. Abissale. Sia gentile.

Sei Anguissa, ed hai appena visto un alieno: strike a pose. È virale la faccia di Frank che ha visto cose che voi umani nemmeno potete immaginare,  lo choc di chi ha osservato da pochi passi un fenomeno evidentemente oltre i confini dello scibile umano. Nello spogliatoio sono arrivati di gran carriera Will Smith e Tommy Lee Jones con l’aggeggio di Men in Black per sparaflashare Anguissa e rimuovere le tracce di quel disco volante passato sulla sua testa.

Sette reti in stagione con nove assist: guardi i numeri e pensi che con Zielinski sei stato troppo severo. Poi ripensi al suo talento e ti convinci di esser stato troppo buono nei giudizi. È un circolo vizioso, che si muove da un errore di base: pensare che Piotr possa essere diverso da quello che è. Zielinski è questo, ed è tanta roba. Non sarà mai come noi avremmo immaginato potesse diventare, perchè non è la sua natura. A volte peschi la sua parte indolente, molte altre la parte ispirata che è una gioia per gli occhi. Usare i due piedi, firmandosi come la strepitosa Mariarca di Loredana Simioli: Indifferentemente

Otto, tra le migliori otto con una considerazione da fare. Se togli la storia, il blasone, i soldi spesi, l’esperienza e tutto il resto, c’è una squadra in Europa che meriterebbe di alzare al cielo la Coppa dalle grandi orecchie. Una sola: quella di Luciano Spalletti. Una speranza per l’intero movimento, un concentrato di culture, fermenti ideologici, impulsi vitali che ci sarebbe da uscire fuori di testa. Con un kosovaro ed uno della Corea del Sud che non fanno passare manco uno spillo, un georgiano che dribbla pure il vento, un nigeriano che sfida le leggi della fisica, uno slovacco premio Nobel per la matematica e un capitano che appena qualche anno fa s’era ritrovato disoccupato. Comunque vada, questa squadra non è storia. È leggenda. Per troppi motivi. Troppi.

Nove all’apertura celestiale di Lobotka, come un respiro. Ossigeno che è vita, cervello, visione: Stan ‘Garcia Marquez’ espone il suo realismo magico senza soluzione di continuità. Allestisce la mostra delle sue opere, pochi invitati perché la comprensione di certe arti è a numero chiuso. Verticalizza tra le nuvole, unisce cieli e pianeti con la semplicità della sarta che battaglia con l’uncinetto tra la destra e la sinistra. Cime di un pallone che ama piacere e piacersi, specchiarsi senza correre il rischio del narcisismo. “Ti amo non per chi sei ma per chi sono io quando sono con te” verrebbe da dire. I sogni di gloria non possono che passare dalle dissertazioni pallonare del signor Stanislav, che rischia non perché ama l’azzardo, ma perché conosce alla perfezione la materia. È Kevin Spacey in ’21’ che gioca a Black Jack sapendo di non poter perdere, perché ha imparato a contare le carte.

Dieci all’uomo che viene dalla luna. Collassa l’universo ai piedi di Osimhen, che salta senza rincorsa e sfida gli dei: è una torre di Babele che si fa persona. Non c’è superbia, ma fede incrollabile nel proprio Io. “Dio può essere avvicinato solo con lo spirito, soltanto con la fede e l’obbedienza”: c’è scritto così su quel totem che si inerpica tra le nuvole e indirizza misteriosamente il pallone all’incrocio dei pali. Nella settimana in cui l’atletica piange Dick Fosbury, l’uomo che rivoluzionò il salto in alto, Osimhen stravolge a suo modo la disciplina. Chi non salta almeno due metri Victor non è.

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