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Da 0 a 10: Spalletti furioso per Meret, gli USA comprano Kvara, Osimhen contro il caro bollette e la promessa di Ndombele

di Arturo Minervini

Zero agli impolverati. Avete presente quei rumori che arrivano dalla cantina? Qualcuno è uscito fuori dal guscio ed era già pronto a tornare alla carica. Vene gonfie, guance pronte a tirar fuori aria e parole piene di rancore. Sono quelli che già lo sapevano, che l’avevano detto, che però mai avevano speso una parola dopo le prestazioni eccellenti precedenti. Al primo errore di Meret, eccoli riemersi da una lunga apnea. Come per Neruda: ci piacete (solo) quando tacete. 

Uno l’errore di Meret, che in sala stampa fa infuriare Spalletti che risponde così alle domande sulla disattenzione del portiere: “La notizia è che abbia fatto il primo erroretto dopo due mesi di gare intense con avversari pazzeschi”. Esistono due modi per salvare qualcuno da un proiettore: essere Neo di Matrix o prendersi quel proiettile al posto di quel qualcuno. Meraviglioso e doveroso il sacrificio di Luciano. 

Due gol arrivati da subentranti che confermano il trend: Spalletti è meglio di Sampei a pescare dalla panchina. Sono già 7 le reti arrivate da chi, sulla carta, doveva finire nella lista degli scontenti e che, invece, finiscono le gare col sorriso a 32 denti come chi ha saputo aspettare e cogliere l’attimo fuggente. “I sorrisi avvicinano più dei passi e aprono più porte delle chiavi” ricordava un memorabile Ezio Bosso. I sorrisi sono il collante ed il passe-partout di questo Napoli. Emblematica la frase di Spalletti in conferenza: “Lo scorso anno, con certi giocatori, questa gestione non si poteva fare”.

Tre occasioni clamorose in 27 minuti con Raspadori, Mario Rui (traversa) e Politano. Poteva finire lì, come già accaduto tante volte in stagione. Il calcio è questa passeggiata in equilibrio sul filo sottile dei sogni, basta un niente per cambiare certe gare e certi giudizi. È mancata lucidità sotto porta, ma sul gioco ancora una volta l’esame era stato passato. “E si ricordi, signor Cocuzza che è un caso, solo un caso che siano cadute le mie regole e non le sue!”. Lo strano caso di un Napoli-Bologna che poteva finire 3-0 al primo tempo e invece ci ha fatto sudare più di tua suocera che ti interroga sulla bontà della sua immangiabile parmigiana di melanzana. 

Quattro minuti dopo il gol di Zirkzee arriva la predica solitaria di Juan Jesus. In versione Jules Winnfield esegue la sentenza preannunciata dalla formula Ezechiele 25:17: “E la mia giustizia calerà sopra di loro con grandissima vendetta”. Impensabile finire il primo tempo in svantaggio dopo la marea di occasioni sprecate. Ci ha pensato il brasiliano a rimettere la gara in pari, a riscuotere col destino il credito maturato. È il 15° marcatore diverso in questo Napoli che non nega a nessuno una gioia. Figuriamoci ad uno che si chiama Jesus. 

Cinque volte. Il Napoli l’ha dovuta vincere cinque volte. Dopo gli errori clamorosi nella prima mezz’ora, dopo la doccia gelata di Zirkzee, dopo la rimonta Juan Jesus-Lozano, dopo l’errore di Meret, dopo la saggia scelta di Spalletti di non cambiare modulo. Una vera e propria scalata, un viaggio tra le proprie paure, una passeggiata tra i vecchi demoni di questa squadra che appare ora capace di rialzarsi, anche dopo aver preso un cazzotto in pieno viso. “Ho fallito davvero molte volte nella mia vita. Ed è per questo che alla fine ho vinto” diceva tal Michael Jeffrey Jordan.  

Sei e mezzo a Ndombele che fino a quando ha energia si mette al sax che se chiudi gli occhi pare di sentire Charlie Parker nei suoi assoli. Sguscia Tanguy tra le maglie avversarie, pare andare ad un ritmo che nessun altro riesce a sostenere giocando il pallone di prima con grande qualità. Poi si disunisce, ma per lui non c’è Antonio Capuano che lo invita a tener duro. Quindi Spalletti lo cambia, ma la strada è quella giusta, ha solo bisogno di un altro pochino di tempo. “Ma in attendere è gioia più compita”.

Sette giorni e tre gol: una settimana da far invidia a quella di Jim Carrey per Lozano. S’è ripreso Hirving, nel morale, nella condizione e pure nelle gerarchie di Lucianone. È lucido nell’esitazione che gli permette di trovare la giusta torsione per spedire in rete la palla del provvisorio 2-1, poi magari sporca un pochino il foglio con qualche scelta affrettata che denota la solita ansia da prestazione. Inutile sperare di correggere quegli aspetti del gioco del messicano: la vera missione è sfruttare quelli che sono i suoi punti di forza. 

Otto gli assist di Paul Gauguin con la maglia 77. Ispirazione primitiva, così come una forza inspiegabile che gli consente di limare anche quei piccoli eccessi di virtuosismo, la ricerca ossessiva di un volto o di un paesaggio che meritino di essere dipinti. Kvaratskhelia è un creatore che non si riposa nemmeno al settimo giorno, che vive da stakanovista l’arte del suo calcio che abbina estetica e pratica come poche volte si era visto prima. Brutale nello scatto, delicato nella sterzata, geniale nell’imbucata per Osimhen che vale ancora una volta la vittoria. Misterioso, come la ricetta della Coca Cola. In pericolo, perchè all’Area 51 ci sono già diverse foto che lo ritraggono in attività paranormali. “Innanzi tutto, l’emozione. Soltanto dopo la comprensione!”. Completamente cotti.

Nove al centravanti che potrebbe risolvere la crisi energetica europea. È una torcia umana Victor, che tiene l’asticella dell’intensità ad un’altezza spaventosa e non l’abbassa mai. Non c’è pallone che non speri di ricevere, non c’è spazio che non creda di poter occupare, non c’è distanza che non può coprire aprendo la falcata come nella giocata che vale il 3-2.  Sono 4 le reti in 551’ minuti di calcio sparso, eppure qualcuno voleva archiviarlo quasi come un terzo incomodo. Il Napoli s’è messo in testa di provare la nuova rivoluzione e per fare una rivoluzione hai bisogno di uno come Osimhen. Quando tutti smettono di caricare, Victor è ancora lì a testa bassa a prendere a testate le mura nemiche. Ariete. 

Dieci, tutte d’un fiato. Così diverse, così simili: un sasso lanciato nello stagno che deforma la tua stessa immagine, ma che non cambia in nulla ciò che sei. L’idea che hai di te. Una spaventosa coerenza inzuppata nella strabiliante diversità di un gruppo con tante soluzioni. Indossare mille abiti, ma la pelle mai, quella no, resta la stessa. E questi ragazzi qui c’hanno la pellaccia dura che mai ti aspetteresti di trovare a rivestire un giocattolo così luccicante, un’esplosione di bellezza che ruba l’occhio come una stella cadente. “Qualcuno ha detto che la bellezza è una promessa di felicità. Nessuno ha mai detto che la promessa sia stata mantenuta”. Prima di questo Napoli.

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