Da 0 a 10: Spalletti si incazza coi giornalisti, il terrore inutile su Kvara, il labiale di Elmas e il messaggio di Osimhen
Zero alla violenza. Che non ha colori, bandiere, giustificazioni. Sono scene che arrivano dal medioevo quelle di una mattina di ordinaria follia sull’autostrada A1 che si trasforma nella Fort Apache di un western di John Wayne. La violenza si combatte con la conoscenza, va lasciata senza nutrimento, va fatta appassire come i fiori che restano senza acqua. “Sii il cambiamento che vorresti vedere avvenire nel mondo" diceva uno abbastanza bravo nella lotta alla violenza.
Uno il rigore sbagliato da Politano, che ‘toglie’ la battuta al designato (parola di Luciano) Kvara. Ci sta. Ci può stare. Esitare è uno dei più grandi rischi che questo Napoli può trovare nel suo cammino. Matteo se la sentiva e si è assunto una responsabilità. È caduto, ma s’è rialzato alla grande giocando una gara di estrema solidità con recuperi difensivi da applausi. Reagire agli imprevisti, assorbire i colpi, essere pronto a sferrarne a tua volta: si fa così.
Due occasioni per tornare al gol ed un’esitazione inattesa. Kvaratskhelia è un Picasso che ha preso un po’ di polvere, che attende la giusta occasione per tornare a far penzolare le mandibole di chi lo osserva. La sua ostinazione è la notizia migliore: Kvara sta provando a fare Kvara. Non può fare altrimenti: è la sua natura. Come la storia della Rana e lo Scorpione. Prova la giocata, il tiro a giro, il colpo di tacco anche quando un giocatore normale farebbe diversamente. Tornerà a pungere in maniera letale: “Privare la magia del suo mistero sarebbe assurdo come togliere il suono alla musica”.
Tre punti, quant’è bello il sapore dei tre punti. Che puoi sentirlo sotto al palato, che si affondi i denti per mordere fino in fondo la sensazione. Più di ogni altra considerazione, a Genova servivano i tre punti. Che lo riscrivo, se non fosse chiaro: i tre punti. Per soffocare sul nascere qualche brusio, per sbattere la porta in faccia ai lupi travesti da agnelli che s’erano moltiplicati dopo il ko con l’Inter. Mai come questa volta, il numero perfetto era il 3. Nella tombola indica la gatta: serviranno sette vite per tagliare lo striscione finale.
Quattro ruote motrici che non t’aspetti. Quando Lobotka cambia passo, pare azionare un tastino speciale. Sembra uno di quei giocattoli col pulsante sulla schiena, che lo schiacci e tira fuori un super potere. È dappertutto, un moto perpetuo che si alza e si abbassa per sfuggire alla pressione, quasi avesse la capacità di moltiplicarsi come il Signor Smith in Matrix. Il suono dell'inevitabilità che tormenta le orecchie doriane, come un citofono che suona la domenica mattina. Ciò che sorprende non è la qualità, ma tutta la quantità che sostiene quel tipo di giocate.
Cinque cambi come le banane a Palermo di Johnny Stecchino: non li devi toccare. Spalletti si incazza al primo accenno all’argomento “Metti quello o metti quell'altro. Io fò come voglio!”. L’incazzattura è preventiva, la strategia comunicativa palese: Luciano non vuole alimentare nessuna polemica su Kvara e sulla sua gestione ed ha una disciplina molto rigida, anche dinanzi alle telecamere. La ripetizione ossessiva della disciplina lo rende vincente. Come un Cicerone che ripete la sua orazione davanti allo specchio, ogni santissimo giorno.
Sei assist in campionato per lo scienziato Mario Rui, che con elaborati calcoli di fisica quantistica fa arrivare il pallone nell’unico spazio possibile per Osimhen. Altra perla per Super Mario, che regala al compagno un pallone che merita le parole di Proust: “Portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un pezzetto di madeleine. Ma nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di biscotto toccò il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario”. Gol e assist? Bischerate dice Spalletti. Lucià, non ti crucciare, ma a noi piacciono queste bischerate.
Sette punti sulle seconde e facce tristi, molto triste. Anche di persone che sventolano la bandiera azzurra: infiltrati. Oscar Wilde direbbe che "La fedeltà è, per la vita emotiva, quello che la coerenza è per la vita intellettuale: una semplice confessione di fallimento”. Quanti infedeli, quanti incoerenti erano sbucati ed avevano improvvisamente alzato i decibel, reclamando attenzione mentre annunciavano imminenti disfatte, terribili tragedie che bussavano alle nostre porte. Dopo appena quattro giorni, tutto torna praticamente com’era.
Otto alla capacità di Elmas di riempiere gli spazi, di colmare i vuoti, di sopperire alle assenze e ritagliarsi spazio. Un riassunto della sua capacità di assumere molte forme: Elmas è Mystica di X-Men, che vede qualcuno e ne prende le sembianze. È ancora a caccia di un’identità tattica con contorni da definire, ma è scrupoloso giocatore della settimana enigmistica che sta unendo i puntini e mettendo insieme i pezzi del suo calcio. Più gioca e più mostra argomentazioni interessanti, che da tempo hanno conquistato Spalletti che è pazzamente innamorato del diamante. “Tu sei stato il solo... a credere... che sarei potuto essere migliore” è la dedica del macedone al suo allenatore.
Nove gare in trasferta per 22 punti, otto giocate al Maradona con 22 punti. Tracce di simmetria, indizi che danno consistenza ad un sogno che il Napoli deve alimentare passando da gare come quella di Genova. Abisso frena i picchiatori della Samp, sventolando cartellini che Sozza aveva dimenticato a San Siro tutelando i calci e penalizzando il calcio. La squadra ha indossato le cuffie, alzato il volume della musica, avviato la sua playlist personale. In ripetizione continua c'era un solo brano, ‘Here comes revenge’ dei Metallica: “Ecco arriva la vendetta, solo per te. Tu chiedi perdono, io ti do la dolce vendetta”.
Dieci reti in 1084’ in campionato per Osimhen. Un antico detto indiano recita ‘Dio parla agli uomini attraverso le storie’ e negli occhi di Victor c’è una fede che smuove le montagne, una determinazione che rade al suolo ogni impedimento. Indomabile, come un racconto che vuole arrivare alle orecchie della gente, come un culto popolare da tramandare, che non può essere arginato. È aria, acqua, terra e fuoco che si uniscono al servizio di una volontà ferrea, di una missione da compiere. Osimhen non è un messaggero, Osimhen è il messaggio stesso. È una lezione, da non lasciar perduta. Mentre fa l’onnipotente sul campo della Sampdoria, a me riecheggia nella testa quell’antico detto indiano: “Dio parla agli uomini attraverso le storie”. Ascoltiamo, in religioso silenzio.
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