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Da 0 a 10: Conte distrugge lo studio Dazn, la notizia bomba su Meret, il massacro su Lukaku e Buongiorno si mangia Thuram

di Arturo Minervini

Zero ad un rigore che ha dovuto fare i conti col karma. Il fischio di Mariani mortifica il gioco, premia la furbata di Dumfries che si infila su un pallone che Anguissa stava cercando di coprire. Il contatto non presuppone che esista un fallo, giusto chiarirlo. E nel cervello ti esplose sempre lo stesso interrogativo: è più fallo quello di Frank, o quello subito (e non fischiato) da Politano contro il Lecce?. È un regolamento interpretato in maniera disomogenea, frantumato in mille pezzi di vetro tra le mani dell’arbitro di turno che si specchia e chiede: “Chi è il più schizofrenico del reame?”. Ognuno fa ciò che vuole, una libertà che è ingiustizia. 

Uno il gol preso con le colpe di Meret che sono tutte lì da vedere. Alex sbaglia e lo dice uno che, spesso, l’ha difeso da critiche ingiuste e ingenerose. Il suo errore pesa come un macigno, perchè ci ha tolto la possibilità di vedere un secondo tempo totalmente differente. Sarebbe stato fondamentale andare al riposo in vantaggio, avrebbe costruito una trama diversa e con sviluppi molto favorevoli per gli azzurri. Non solo l’errore, ma conta anche il momento in cui lo si commette. Quella mano debole, per un destino debole, in una serata da destini forti. Dopo Lookman, un altro errore nel suo punto di forza. Ancor più imperdonabile. La notizia eccezionale? Che in molti tifosi l’hanno difeso.

Due partite stupende del Gaucho Mathias a San Siro. Dominante col Milan, perfetto contro l’Inter senza mai arretrare di un centimetri e con un paio di diagonali eseguite alla perfezione. Olivera è il pensiero plastico di Conte, il prototipo del calciatore che si può esaltare acquisendo i dettami della filosofia contiana, sposandone i principi. Sarà tornando in macchina come Giovanni mentre ascolta ‘Luci a San Siro’, con una lacrima che gli solcava il viso sentenziando: “Non ce la faccio, troppi ricordi”. In quello stadio è un Olivera da MVP.

Tre errori da matita rossa per un Gilmour che gioca una partita a schizzi, come un quadro di Pollock. Ha il compito di ringhiare su Calhanoglu, ma alla prima distrazione viene punito dalla sassata del turco. Perde due palloni sanguinosi sparsi nella partita e, pur senza volergli togliere stima e fiducia, l’ingresso di Lobotka ha lo stesso effetto della scena cult di Miseria e Nobiltà. “Fatemi vedere il principe, e io mi calmo”. Stan, sei il nostro sovrano.

Quattro punti in due trasferte a San Siro, avendo giocato pure in trasferta sul campo della Juve. Dopo la bastonata presa dall’Atalanta (che poteva prenderne 5 in casa dall’Udinese), il Napoli è primo! È ancora primo! Ora che ha giocato con le big! Tutte quelle squadre, che erano meglio del Napoli, hanno comunque raccolto meno punti di questo disastrato Napoli. Che gioca una ‘chiavica’, che tiene il centravanti che non è buono, che Kvara pensa ai soldi e se ne fotte della squadra! Eppure è primo! (Il punto quattro era il punto del sarcasmo, si era capito?)

Cinque cambi che Conte non fa, questo conferma due sensazioni. La prima: ad Antonio la squadra è piaciuta assai. La seconda: in panchina non ha alternative in alcuni ruoli chiave. I secondi in cui Buongiorno è rimasto accasciato a terra sono stati interminabili, infiniti ed estenuanti come quando lei ti chiede: amore, c’è qualcosa che mi devi dire? E tutta la vita ti passa davanti, e tutte le risposte sai che sarebbero comunque errate. In quel momento, una sagoma, un volto, un nome: Juan Jesus. Ed è stato subito terrore. 

Sei squadre in due punti, una ressa che nemmeno al concerto degli 883 all’Acquafan nel 1993. Squadre diverse, con principi diversi, con ambizioni differenti, con Fiorentina e Lazio che sembrano essere quelle non invitate, ma con tutte le carte in regola per partecipare al ballo. Non sappiamo ancora quale ruolo reciterà la squadra di Conte, ma una cosa la sappiamo: non sarà mai Cenerentola, al massimo la scarpa più scomoda da indossare per tutti gli altri. Ad Antonio non interessava partecipare alle feste: voleva semplicemente che gli altri non festeggiassero. 

Sette a Rrahmani che aveva promesso a Lautaro una relazione duratura, prima di ‘ghostarlo’ impietosamente nella notte meneghina, in cui Martinez è come la nebbia: c’è, ma non si vede. Ed i meriti sono tutti di Amir, pulito e puntuale, cattivo quando serve. Col socio accanto che indossa la numero 4 Amir è tornato quello del tricolore ed a fine gara esce da San Siro come Vittorio Gassman ne ‘Il Sorpasso’ che ‘fa le corna’ a tutti quelli che si aspettavano di vedere l’Inter capolista.

Otto ad Alessandro Magno, nel senso letterale del termine: pare Hannibal Lecter che si divora pezzi di Thuram e li butta giù con dell’ottimo Chianti. Atti di puro cannibalismo quello di Buongiorno, un pacman meno giallognolo e molto più muscoloso che inghiotte tutto ciò che incontra nel suo percorso, senza fare distinzione: da Pavard a Thuram, materia cellulare dispersa in quel buco nero che cancella ogni forma di vita che si trova a gravitare nella sua zona. Un mostro.

Nove quelli subiti, appena diciannove quelli segnati: è il dato di reti all’attivo peggiore tra le prime sette. C’è sicuramente del lavoro da fare, c’è da capire come valorizzare i 30 milioni di euro di Neres ormai sorpassato pure da Ngonge nelle gerarchie, c’è da rammaricarsi per l’occasione gargantuesca avuta da Simeone nel finale e da gioire per il senso del gol di McTominay. Ci sono tutti questi aspetti, ma ci sta pure una cattiveria nell’analizzare la prova di Lukaku difficilmente spiegabile. Romelu ha lottato su ogni palla, ha avviato 5-6 ripartenze importanti, aveva servito a Kvara un cioccolatino che solo il miracolo di Acerbi non s’è trasformato in gol. Cresceremo, ma non siamo messi male come si racconta.

Dieci a Conte, che si è reso finalmente conto. Ha capito, perchè ora sono affari che riguardano la propria pelle, tatuaggi di ingiustizie che bruciano come aghi roventi. “Retropensieri” dice, e non usa mica una parola a caso. Ribalta lo studio di Dazn quando Luca Marelli gli dice che sul rigore Inter ‘il Var non può intervenire’. Il solito tranello del protocollo, che protegge quella discrezionalità a cui gli arbitri proprio non vogliono rinunciare. Antono combatte, si infuria, lotta come uno spartano alle Termopili. È un corpo totalmente immerso nella sua missione, 'è fatto di acqua e cazzimma'. E non arretrerà di un centimetro.

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