Da Zero a dieci: la vergogna delle regole cambiate, l'idea Marotta di ADL, il labiale del furioso Carlo e l’imbarazzante omertà di Allegri
(di Arturo Minervini) - Zero alla gestione scellerata del tutto. Stessa storia, stesso posto, senza VAR. È la dura legge di Banti, dei cartellini che cambiano l’orientamento di una gara. È lo sport che sanguina ancora una volta sull’altare bianconero. Restare a guardarlo è uno sforzo fisico, una lotta all’ultimo colpo tra passione e ragione. Perché la sensazione di sapere già come va a finire è immensa. Perché il dubbio che ti stiano prendendo per il lato B è enorme. Banti, prende il regolamento e lo ribalta. Banti, quello che non fischia rigore in Lazio-Juve con Benatia che frana su Leiva. Banti, quello che al Var a Cagliari non segnala il rigore per la parata in area di Bernardeschi. Banti, quello che ha un rapporto con Allegri. Viene in mente una frase de ‘L’amico di famiglia’ di Paolo Sorrentino: “E ricordatevi sempre una cosa fondamentale: Il mio ultimo pensiero sarà per voi…”.
Uno all’imbarazzante omertà di Allegri. “I cori contro Napoli? Non li ho sentiti” dice il tecnico della Juve, che come uno sciatore inesperto cerca di dribblare i paletti in uno slalom speciale, ma inforca e ci sbatte con la faccia dentro. Prendere una posizione sarebbe stato troppo compromettente, condannare lo schifo avrebbe fatto innervosire qualche tifoso. Perché “Il silenzio uccide, il silenzio è un comportamento mafioso”. Poi indossiamo le sciarpe per le campagne sociali, lanciamo gli appelli a donare per la ricerca, ci dipingiamo la faccia di buonismo quando accadono le tragedie. Fino a che si resta nel mondo astratto, si è tutti bravi. Poi davanti al razzismo, davanti allo schifo, davanti alla vergogna si abbassa la testa e si fa finta di non aver visto. “A tutto si abitua quel vigliacco che è l’uomo”.
Due cartellini avvolti dal mistero. Quasi impossibile vedere un replay degli interventi di Rui, dell’entrata assassina di Cancelo, del mani volontario di Chiellini. Ecco, quel tocco di mano è lo spartiacque della sfida, quello che segna un ‘Prima’ ed un ‘Dopo’. In quel momento qualcosa è cambiato, il regolamento è stato disapplicato. Perchè per la Juve deve valere un regolamento diverso? Perchè Chiellini non è stato ammonito? Perchè Koulibaly ammonito per un fallo normalissimo? Perchè condizionare ogni volta le partite? Interrogativi che resteranno senza risposta, schegge nell’animo di chi vorrebbe che a vincere fosse sempre il migliore. Con mezzi propri.
Tre reti subite, contro una Juve forte. Fortissima. Non è questo in discussione, ma proprio per questo non avere lo stesso metro arbitrale è una mazzata che ammazzerebbe un toro. C’è un Ronaldo in grande spolvero, al punto che ogni tocco di palla diventa occasione per decantarne la grandezza assoluta, la superiorità. Al punto che un colpo di testa sbagliato diventa meraviglioso assist per il gol di Bonucci. Al punto che per due volte calcia dopo che è stato segnalato l’offside e non viene nemmeno ammonito, ma in cronaca non si può dire. Carina l’opzione ‘Telecronaca’ su ‘CR7TV’ ma non mi sono accorto di averla attivata. ‘Mi avete preso per un coglione?’. (Cit.)
Quattro alle ingenuità dei nostri. Sfumature che fanno la differenza, scelte fatte sotto pressione, accorgimenti in virtù di un metro arbitrale scandaloso. L’uomo che sopravvive è quello che si adatta al cambiamento, che sa leggerlo, che riesce a generare un sistema immunitario per combattere anche contro le avversità. Questo non giustifica Banti, ma deve essere una lezione per tutti gli azzurri. Perché questo Napoli ha dimostrato di potersela comunque giocare, ha sfiorato il pari con l’uomo in meno, nella ripresa ha concesso poco o nulla ad una squadra che ha come unica filosofia quella di affidarsi alle giocate dei suo strapagati campioni. Quell’esperienza che nasce da una società solida, strutturata. Magari è per questo che De Laurentiis sta pensando a Marotta dopo il clamoroso addio alla Juve? “La guerra non la vince chi è più forte, la vince chi è più bravo ad aspettare”.
Cinque ai due laterali. Male, molto male. L’anello debole di una catena che stava reggendo gli urti, anche stringendo i denti e sacrificandosi. Hysaj sul primo gol è ingenuo due volte in pochi secondi: prima andando morbido sul colpo di testa che avrebbe affievolito l’azione bianconero, poi abboccando troppo passivamente alla finta di CR7. Mario Rui soffre Cancelo, e ci può stare, ma deve capire che con un giallo sul groppone a centrocampo bisogna evitare di cadere in tentazione. Allargando il discorso, è chiaro che sul piano qualitativo in quella zona manchi qualcosa, sul piano qualitativo a destra, sul piano fisico e della gamba a sinistra. Stanotte, prima di andare a dormire, durante le vostre preghiere chiedete di rivedere in campo uno che si chiama Faouzi.
Sei a Callejon. Media quasi ponderata per l’assist geniale di prima intenzione e l’incertezza nell’occasione che poteva regalare il 2-2. Il tocco per Mertens è un compendio dell’intelligenza superiore dell’iberico, della sua capacità di razionalizzare situazioni di panico. È una visione calcistica di bellezza immediata, un pezzo di pane caldo spaccato a metà e condiviso con un amico. Nella ripresa cade nella tentazione di pensarci troppo, di far appesantire quel pallone da una responsabilità che diventa fardello. Perde naturalezza ed anche la grande occasione di diventare l’eroe di Torino. Ci sono momenti dove l'istinto dovrebbe in qualche modo prevalere su tutto.
Sette gare giocate in campionato ed una sensazione crescente di solidità, anche dopo una sconfitta. È un Napoli che ha saputo ingoiare bocconi amari, trovandone nutrimento, mutandoli in lezione da imparare. Ha cambiato pelle, ha assegnato nuovi ruoli nella grande recita, mostrando una personalità differente, non per questo impoverita. Nel guado di un fiume complesso, con il Sarrismo su una sponda e la filosofia di Ancelotti, il gruppo ha tentennato il giusto, per poi riprendere il cammino con passo spedito. È cambiato il ritmo, lo stile, la finalità. Eppure c’è un ottimismo che la sconfitta non riesce a cancellare, perché le vibrazioni di questo Napoli iniziano ad essere molto positive. Come un pianista che sceglie una sequenza di tasti. Poi ne aggiunge ancora altri. Parti singole che iniziano a diventare orecchiabili, frammenti che aspirano ad essere composizione.
Otto all’approccio rabbioso. Parte il gong e la Juve è messa alle corde che nemmeno il povero Wepner (colui che ispirò poi la storia di Rocky) contro Muhammad Ali nel marzo del ‘75: prima dal palo di Zielinski, poi cade al tappeto con il montante destro di Mertens. C’è un’armonia quasi inattesa nei primi 20’, una coralità dei compiti che lascia la Juve senza possibilità di replica. In quell’avvio e nella reazione dopo il 2-1 c’è tanto da salvare, da portare a casa e coltivare con mani sapienti. Ancelotti è l’architetto che costruisce nuove evoluzioni spazio-temporali, innesti dentro ad un mondo stile ‘Inception’ per riprodurre situazioni che mettono sempre più a suo agio questa squadra. C’è lavoro da fare, ma c’è una materia ottima su cui lavorare. Bisogna solo trovare la strada della continuità, anche all’interno della stessa partita.
Nove è quello che è mancato. È mancato l’attacco, è mancato un Insigne che ha litigato con la partita che al confronto il Misantropo di Moliere era una persona socievole. Resta ai margini Lorenzo, sbaglia tutto quello che può sbagliare, avverte il peso di questi sbagli e cerca di strafare sbagliando ancor di più. È questo un aspetto su cui il Magnifico deve lavorare, assimilare la lezione che anche in una giornata storta si può trovare il modo per essere utile in un modo diverso alla squadra. Non lo assiste Dries, che dopo il gol non riesce a dare il giusto peso alla manovra. Un lusso che non ci può concedere contro un’avversaria così temibile, due mancanze che nel computo complessivo hanno inciso, e come se hanno inciso.
Dieci al dopo gara di Ancelotti. Lucido, fiero, pungente. Da vero condottiero il tecnico sottolinea le incoerenze di Banti, i lati positivi della prestazione dei suoi, pone l’accento sugli squallidi cori contro i napoletani e distrugge i tifosi della Juve con la battuta sulla Champions del 2003 per gli insulti ricevuti. Pacato nel post, furioso nel durante. Chiarissimi i labiali di rabbia per la direzione arbitrale, perché alzare la voce in quel momento era un segnale da lanciare. Carlo è uno che sa come si fa, che non vuole farsi prendere in giro. Carlo, allo stesso tempo, è uno che crede davvero in questo progetto, nel potenziale di questo gruppo. Carlo è in questo momento la più grande garanzia di questo club, l’assicurazione per un futuro che vuole essere sempre più roseo. Lottando, contro i giganti. Urlando contro i potenti. Con la stessa fame di sempre. Una vita vissuta al contrario come nel paradosso di Woody Allen, un tecnico che sembra avere più voglia di prima. Alla faccia di chi pensava di uno venuto a svernare all’ombra del Vesuvio.