Da Zero a Dieci: lo scandalo Calvarese, l’ecografia alle scarpe di CR7, la furia social su Milik ed il doppio veleno di Mertens
Fonte: di Arturo Minervini
(di Arturo Minervini) - Zero all’annuncio di Massa di un “Var non attivo” nei primi minuti della sfida al San Paolo (perchè ad Empoli c'era?!). Ma non solo nei primi minuti della sfida al San Paolo, la verità è che il Var che non ESISTE. Che viene piegato alla volontà degli arbitri, usato in maniera discrezionale. Al Var che doveva essere garanzia di uniformità ed equità e che si è trasformato in garanzia dei soliti vecchi poteri. Quelli che fanno finta di vacillare ma poi si ripropongono ancora più forti. Virus che ammazzano la voglia, la gioia, il piacere di tifare e sperare che possa alla fine vincere il migliore. La sensazione struggente è che a vincere debbano essere sempre gli stessi. D’altronde, dopo aver visto l’ecografia fatta alle scarpe di CR7 pare chiaro che tutti abbiano interesse affinché le cose restino così come sono…
Uno come il primo pareggio al San Paolo dopo aver vinto nelle prime cinque uscite, risultato più bugiardo dello stato ‘Occupato’ su Whatsapp. È un Napoli dominante su una Roma a tratti brutalizzata da una superiorità tecnica difficile da spiegare a parole. Come se Macgyver sfidasse Tina Cipollari in prove di logica all’interno di una Escape Room. Non riesco ad esprimere in altro modo il divario visto sul campo del San Paolo.
Due episodi e due visioni differenti di Calvarese, l’uomo che dopo l’errore più clamoroso dello scorso campionato (a detta anche dei vertici arbitrali), la Juve avrebbe dovuto vederla solo col binocolo. La parata in area di Bernardeschi non sanzionata a Cagliari resta macchia indelebile sulla regolarità dello scorso scudetto, eppure Calvarese ritrova ancora la Juve, come un regalo da scartare sotto l’albero della cuccagna. Alla prima occasione buona, il direttore di gara omaggia la Vecchia Signora con un calcio di rigore ridicolo, che legittima ogni attaccante a sbarrare la strada ai difensori e poi lanciarsi al suolo come colpiti da un AK-47. Un fallo in attacco che diventa penalty, una gara in salita che diviene scampagnata. Nulla di nuovo sotto questo cielo sempre più oscuro.
Tre ad Olsen che ha rubato più tempo dell’ora legale. Il portiere inizia a perdere tempo già a pranzo, come quelli che in pizzeria osservano per diciannove minuti il menù per poi ordinare puntualmente una margherita. L’estremo romanista ha l’ardire di lanciare anche due palloni in campo per rallentare la ripresa del gioco, tattiche che nemmeno all’oratorio. Massa è complice del tutto, attendendo 80’ per mostrare il cartellino giallo. Ci lamentiamo che all’estero nessuno ritiene appetibile il nostro campionato. Voi comprereste uno spettacolo così indecoroso? Andreste a vedere un film dove sono uno dei protagonisti recita le sue battute e gli altri fanno scena muta? Ecco, la Roma ha fatto quella scelta. Distruggere lo spettacolo, per rosicchiare un punto che non porta da nessuna parte.
Quattro occasioni sfruttate male da Insigne. Torna sulla terra il numero 24, dopo un lungo peregrinare su un pianeta dove si respirava intoccabilità. Torna sulla terra il Magnifico, che si lascia divorare da una frenesia che è sempre la peggior nemica di una punta, antico dazio da pagare ad una gioventù che ogni tanto riecheggia nella testa. Soluzioni errate, conclusioni smorzate prima del guizzo che risulta comunque decisivo per salvare i suoi. La morale della favola è che anche nella notte peggiore, uno come Lorenzo è sempre meglio averlo dalla propria parte.
Cinque…centoundici. Un tributo all’eterno, un passo verso un universo che appartiene ed apparterrà soltanto a lui. Miglior marcatore di tutti i tempi, maggior numero di presenze (con Bruscolotti presto superato) in maglia azzurra per Hamsik. Il tributo alla fedeltà, l’esaltazione dell’uomo che ha la forza di fare scelte differenti dalla massa. Marek non è come tutti gli altri, non lo è mai stato. Un centrocampista che va sempre in doppia cifra, uno che viene discusso anche quando inanella numeri incredibili. Uno che abbina qualità e quantità, uno che ti fa venire i brividi a raccontarlo. Accade sempre così: la bellezza delle storie viene percepita solo più avanti, quando viene aggiunta una spolverata di nostalgia. Piangeremo per lui, più avanti. Ne sentiremo una mancanza quasi asfissiante. Un amico, un fratello. Una maglia dentro a un petto. Un cuore solo e per sempre azzurro. Grazie capitano. Grazie davvero. Ci fai fare la pace con un pallone troppo marcio. Fortuna che esisti.
Sei punti di distacco dalla Juve, con solo l’Inter tra le grandi da affrontare. Visione globale, distaccata, perché una gara come quella con la Roma lascia una rabbia addosso che rischierebbe di inquinare ogni valutazione. Il Napoli c’è, è lì. Il Napoli è vivo, sprizza energie ed idee da ogni poro. È una macchina che può ancora crescere ma che ha certezze consolidate, automatismi che sono certificazione di garanzia per il futuro. Il parametro non può essere la Juve, per troppe considerazioni già fatte. Il parametro deve essere la crescita, lo sviluppo di un progetto che assume contorni sempre più definiti. Quella che sembrava una semplice bozza su tela, ora assume le forme di un meraviglioso dipinto di Picasso. È il periodo del Cubismo Ancellottiano, di una squadra definita e spigolosa per ogni avversario. “Dipingere non è un'operazione estetica: è una forma di magia intesa a compiere un'opera di mediazione tra questo mondo estraneo e ostile e noi”.
Sette ad ogni singolo pallone toccato da Fabiàn. Carezza prima, tempesta poi in una revisione iberica dello Sturm und Drang narrata ad un ritmo cadenzato. “Ogni attrazione è reciproca” scrive Goethe, regola che racconta il rapporto tra il numero 8 ed un pallone che sembra gravitare con leggerezza sul sinistro incantato e sul destro educato più di quanto si pensi. La danza onirica del minuto 7’ è un percorso incantato, con i calciatori romanisti che cascano sulle sterzate di Ruiz come meteore passate troppo in fretta. Uno stupore prolungato, un’apnea che sembra non finire mai mentre gioia e bellezza si piazzano fisse davanti allo sguardo. È un momento da ricordare, che avrebbe meritato il lieto fine. Mentre Fabiàn dribbla anche i magazzinieri giallorossi, nella testa sembra di sentire Pino e Massimo che cantano “‘O ssaje comme fa 'o core”. Il nostro cuore gli appartiene già.
Otto presenze in campionato e tre reti. Nuove pistole (questa volta per fortuna solo dialettiche) puntate su Milik, che vive un momento complesso, seppur prevedibile. Nelle gambe Arek è un giocatore recuperato, nella testa non è ancora lucido e per un bomber questo fa tutta la differenza del mondo. Sempre in ritardo nelle giocate di quel centesimo di secondo, troppo cerebrale e poco istintivo in situazioni che richiedono estro e non razionalità. Emettere sentenze adesso, però, sarebbe ingeneroso e poco utile alla causa. I pezzi per comporre un grande puzzle ci sono tutti, bisogna solo mettere in ordine tutte le tessere e sperare che si tratta di un calo fisiologico dopo i due tremendi infortuni. Rinascere è un meccanismo complicato, con dei tempi difficili da stabilire. Merita altre occasioni.
Nove all’artiglio di Dries. Graffiante in campo ed al veleno in sala stampa, quando rivendica la volontà di trovare più spazio. Per il belga tre reti nelle ultime tre gare e la sensazione di aver ritrovato lo smalto dopo le fatiche mondiali. Con tutto il peso del mondo sulla nuca, è mortifero nell’infilare sotto la traversa quel pallone messo lì dal fato, finalmente per una volta a favore degli azzurri. Mertens è un patrimonio da tutelare, un quid di pazzia ed imprevedibilità che può far cambiare marcia al Napoli. È gli antipodi di Milik, per caratteristiche ed indole. È quella diversità che può far brillare ancor di più questo Napoli, un atipico che plana verso le novità, dopo aver atteso tanto per spiegare la libertà che esprime battendo le ali. Il bruco sta diventando di nuovo farfalla.
Dieci alla forza di volontà. Alla vocina nella testa che ti dice ‘provaci ancora, provaci ancora”. Anche quando ogni sforzo sembra vano, anche quando la sorte pare aver già messo il punto alla tua storia. È un Napoli a tratti eccezionale quello visto con la Roma, incapace di sublimare una trattazione a tratti epica. Un frammento, un dettaglio, un centimetro mancante, da colmare per ribaltare quel risultato terribilmente ingiusto, da vendicare con una V gigante scritta sul petto. Lottare “senza mollare quell’ultimo centimetro, è piccolo, ed è fragile, ma è l’unica cosa al mondo che valga la pena di avere Non dobbiamo mai perderlo, o svenderlo, non dobbiamo permettere che ce lo rubino…”. Con questo spirito si andrà molto lontano.