Da 0 a 10: il ‘Vaffa’ che fa esplodere Gattuso, il traditore in scarpe LIDL, Ibra spazza via Insigne e le sviste 'oculate' di Valeri

Napoli battuto: Gattuso sbaglia la gestione, Bakayoko espulso ingiustamente. Male Lozano e Insigne, disastroso Di Lorenzo
23.11.2020 15:13 di  Arturo Minervini  Twitter:    vedi letture
 Da 0 a 10: il ‘Vaffa’ che fa esplodere Gattuso, il traditore in scarpe LIDL, Ibra spazza via Insigne e le sviste 'oculate' di Valeri
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

(di Arturo Minervini) - Zero alibi, ma fessi è un’altra cosa. Che il Napoli sia stato orribile è certificato, che Valeri sia stato di pari livello: anche. L’espulsione a Bakayoko è invenzione letteraria, ardito espediente dello sceneggiatore che incide nello sviluppo della trama. Il primo giallo è un salto carpiato nel regolamento, nella logica del gioco, nella comprensione dello stesso. È premonizione di sventura, manifesto di superbia che trova conferma nel mutismo che avvolge la gomitata ‘alla Tyson’ di Ibra a Koulibaly. Non è piagnisteo: è racconto. C’è tutto il resto, ma c’è anche questo. 

Uno al coraggio, che se non ce l’hai non puoi dartelo. E non serve scomodare Don Abbondio. Il carattere è come l’impronta digitale: puoi pure prendere una lima, ma quella resta. È un Napoli che lascia indizi sparsi, insicurezze genetiche nei singoli che vanno a sommarsi nella totalità della squadra. Se tremi come un bicchiere d’acqua al passaggio di un T-Rex come Ibra, allora sei destinato a tremare sempre. Ad essere inevitabilmente oggetto della legge del caos. E nel caos può succedere di tutto. E se non controlli il tuo destino, spesso il destino non ti riserva cose belle.

Due reti ed il controllo emotivo del match. Ibra non ha coraggio, Ibra è il coraggio. La leadership che svetta e che, per contrappasso, evidenzia la diserzione serale di quelli che invece avrebbero dovuto rispondere presente in casa Napoli. Troppo Zlatan, con nessuno che ha provato nemmeno a incrociare i guantoni con il peso massimo svedese. Un silenzio quasi assordante, riecheggiato nella testa di molti nella notte.

Tre assist con la Spagna ed una gara sontuosa e poi il vuoto. Profondo, incolmabile, inspiegabile. Fabiàn si eclissa, decide di non giocare. Imposta la velocità di crociera con i motori al minimo, si accascia come galleggiante in balia del volere del mare. Lo guardi ciondolare con il campo svagato e sembra di leggere ‘Languore’ di Verlaine’: “Solo, un poema un po’ fatuo che si getta alle fi amme, solo, uno schiavo un po’ frivolo che vi dimentica, solo, un tedio d’un non so che attaccato all’anima!”. Assente ingiustificabile. 

Quattro due tre uno con un UNO che non è adatto all’idea. Gattuso si intestardisce, e sbaglia. Manca il presupposto fondamentale per quel sistema di gioco: Osimhen e la sua profondità. Mertens è troppo attratto dal pallone, finisce per fungere da tappo. E il Napoli diventa un aquilone che non vola, perché non gli dai corda. Un sogno che non decolla, ali tarpate e tappate da una densità di popolazione che toglie alito e respiro. L’aquilone di Gattuso non è come quello di Franklin: nessun parafulmine, tutt’altro. 

Cinque a Mario Rui, un Sergej Bubka che non ce l’ha fatta. Un’asta che cade, puntualmente, quando provi a saltarla ad altezze che appartengono ad una certa categoria di calciatori. Spazzato via da Ibra in occasione della seconda rete del diavolo, racconta di una falla aperta da troppo tempo in quella zona del campo. È proprio come nello sport che ha reso leggenda il saltatore ucraino: fino ad un certo livello ci arrivano tutti. Andare oltre, appartiene a pochi. 

Sei all’ardore di Politano. Ci mette tutto quello che ha, carica a testa bassa, spara col mancino sfiorando anche il gol. Dovrebbe essere l’esempio da seguire, ma il buon senso degli altri è rimasto nascosto. Giudizi che stanno mutando sull’ex Inter, pronto di testa e con la capacità di incidere sulle gare attingendo da un armamentario sempre più apprezzabile. Una nota lieve, in una serata di stonature. 

Sette gare in campionato e due sconfitte al San Paolo, che diventano tre in dieci gare complessive. È un dato brutto, menestrello che strimpella inconsistenza sparsa, mancanza di resilienza, tratti di arroganza come la lumachella della Vanagloria di Trilussa rievocata da De Luca che guardando la sua bava immaginava di lasciare impronte nella Storia. Ma la Storia inganna, muta, si evolve. La storia non è mai sempre e solo ieri: la storia è presente, che si cambia d’abito per il futuro con la velocità di Brachetti. Insomma, per fare la storia, bisogna dimenticarla la storia. Lottare, con tutte le forze, nel presente. Senza lasciarsi ciondolare da quello che si è fatto.

Otto a Di Lorenzo, se giocasse nel Milan. Tiri fuori la testa dall’acqua e arriva Giovanni a spingerti giù, a toglierti respiri e risorse. Dall’ultimo cerchio dell’Inferno arriva il traditore che non t’aspetti, che sconvolge piani con una serie di strafalcioni che nemmeno Luca Giurato ad un Certamen Ciceronianum. Divora la rete dell’1-1 con Donnarumma sdraiato sugli scogli, costringe Bakayoko al secondo giallo e perde pure la palla che avvia il 3-1. Nasce il fondato sospetto: non è che ha subito la moda del momento ed ha giocato con gli scarpini della Lidl?

Nove come novanta. Come la paura, forse di cambiare, come il minuto in cui lo spettro di Fabiàn lascia il posto a Elmas. È lo specchio dei pensieri di Gattuso, una timidezza che diventa quasi omissione dolosa nella gestione di una gara che aveva preparato male ed ha letto forse peggio. Dice che rifarebbe le stesse scelte e sbaglia ancora, perchè Pioli aveva preparato la gara sulle sue debolezze. E Rino incassa, affonda la testa nella sabbia e non corregge. Nè prima, né dopo. Attende, eventi legati più all’inventiva dei singoli, che pure gli girano le spalle. Servirà una riflessione, anche su se stessi. Perchè ogni tema, dopo la premessa, deve avere uno svolgimento all’altezza. Altrimenti si rischia di andare fuori traccia…

Dieci sulla schiena con la nazionale, impalpabile con la sua 24 azzurra. Insigne non gioca male. Insigne non gioca. Non inizia nemmeno la contesa, resta confinato in un volere che non sfocia mai nel potere. Si appiattisce nella sua indolenza, perde riferimenti tecnici e freni inibitori. Il ‘Vaffa’ plateale a Lozano per un passaggio sbagliato fa infuriare Gattuso nelle dichiarazioni post-gara. Un passo indietro inatteso, proprio nella settimana della celebrata maturità. Specchiarsi nello stesso specchio di Ibrahimovic può avere effetti traumatici, soprattutto se gli chiedi: chi è il più carismatico del reame. Male Lorenzo. E fa male.