Da 0 a 10: l’audio rubato di Spalletti, l’acquisto inatteso, la cessione insensata e l’umiliazione alla Juve di CR7

Il Napoli batte il Genoa con le reti di Fabiàn e Petagna: azzurri a punteggio pieno
30.08.2021 18:02 di  Arturo Minervini  Twitter:    vedi letture
Da 0 a 10: l’audio rubato di Spalletti, l’acquisto inatteso, la cessione insensata e l’umiliazione alla Juve di CR7
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Zero incontristi. C’è una falla che emerge da Marassi, non certo una novità, ma un nuovo promemoria da tenere fissato nell’agenda. Buchi che diventano pericoli, centimetri che diventano carenze nel flusso evoluti del match. Una mancanza che il Napoli prova a sanare con i 184 centimetri di Zambo Anguissa, colosso che avrà il compito di raccogliere l’eredità di Bakayoko nella mediana. Far peggio, sarà onestamente difficile. Benvenuto ragazzo!

Uno l’esterno sinistro di ruolo col quale il Napoli vuole intraprendere la maratona stagionali. Come pensare di correre scalzi 42,195 km della distanza consacrata alla storia da Filippide senza essere Abebe Bikila. Le crepe su una parete da tempo abbandonata sono visibili ad occhio nudo, sono l’ennesimo inspiegabile e cocciuto atto di sterile presunzione. I posteri potranno catalogare questa era geologica come l’era del Napoli senza terzino sinistro.

Due che quando stanno bene fanno la differenza. Kalidou e Kostas, la doppia Kappa che sembrava destinata a prendere direzioni divergenti. Manolas e Koulibaly sono accoppiata rara, magari asimmetrica, ma che esprime nell’individualità picchi di assoluto dominio nelle giornate di grazia. Attenti a quei due è un consiglio da tenere bene in mente quando stanno bene.

Tre punti, ancora tre punti. Come esercizio per la mente, per il corpo, per lo spirito: il mantra da ripetere come un esercizio di respirazione. La vittoria è un concetto tutt’altro che astratto, è una scelta, un’arte, una fede incrollabile. “Odio perdere più di quanto ami vincere” sentenziava Billy Beane ne “L’arte di vincere”. Con questo Napoli Spalletti sta facendo lo stesso tipo di lavoro.

Quattro all’amnesia di Di Lorenzo. Una macchia che poteva costar caro alla prestazione azzurra, una dimenticanza che va metabolizzata come fosse clorofilla da assorbire lentamente, perché gli errori sono la più grande lezione che ci posso essere tramandata. Non sbaglio mai, al massimo imparo. E Giovanni su certi movimenti difensivi deve mettersi con la testa nel libro, come suggeriva Pavese.

Cinque punti in più della Juve prima dello scontro diretto. Sogno o son desto, scherzo di inizio stagione in questo sogno di una notte di mezza estate. Tutti i pronostici calpestati, così come la dignità di un club che ha incoronato un Re senza cuore e senza terra. Ronaldo ha trascinato la Juve nel buco nero dell’indifferenza, è scappato via lasciando una scia di insostenibile fastidio. Ritrovarsi solo al centro dell’altare, per un matrimonio mai realmente consumato. Citando l’immenso Woody Allen: “Quello che odio di più è che mi chiedano perdono prima di calpestarmi”. 

Sei chili in meno e tanta fiducia in più. È un processo inversamente proporzionale quello che ha portato Lobotka a vestire di una credibilità rinnovata, senza rincorrere gli eccessi che non appartengono ai doni che madre natura ha dato in dotazione. Fare le cose semplici, eseguire lo spartito senza perdersi nei virtuosismi. Si può essere buoni come il pane caldo, senza dover necessariamente avere l’ambizione di essere un piatto gourmet. 

Sette ai lampi di talento del ritrovato Ounas. Memento Adam: ci sono velocità differenti, fotogrammi che si rincorrono con ferocia rara nelle accelerazioni dell’algerino. Una scheggia di paura che si infila tra le debolezze della difesa genoana, con una convinzione del tutto rinnovata. C’è la forza dell’improvvisazione che non è precarietà, ma lucida consapevolezza dei propri mezzi. Portatore di scompiglio nel naturale ordine delle cose, un meraviglioso Joker che scorrazza per il campo urlando:  “Sai qual è il bello del caos? È equo”.

Otto al mancino che non c’entra niente con tutto il resto. La condizione di Fabiàn è un miraggio nel caldo estivo, ma quel sinistro lì è una meravigliosa parentesi temporale, una rivendicazione urlata del proprio status di eletto. Quando si inarca con la schiena, lasciando il mondo scivolare lentamente dalla parte opposta, puoi già intuire il finale del racconto, la palla che si infila proprio nel punto desiderato. Se c’è una cosa che non si può insegnare è la profondità di una pennellata su una tela. Artista, magari fuori forma, ma pur sempre artista.  

Nove a Spalletti, che prende per mano i suoi. Che se le sporca quelle mani, che rovista tra le offerte migliori presenti sulla propria panchina. Scelte che diventano vincenti, abbracci che rivelano la profondità emotiva già raggiunta nel cuore pulsante della squadra. È un minatore di emozioni Luciano, esploratore di animi e ricercatore di stimoli sempre rinnovabili come una fonte perenne di energia. Non è il momento di fare gli schizzinosi. Vittoria sofferta, vittoria in mischia: sei punti in due gare. Non c’è niente di più incoraggiante di chi inizia un lungo viaggio col passo deciso dello scalatore, Napoli ha un disperato bisogno di tornare a gioire insieme. A sentirsi, nuovamente, la stessa cosa.

Dieci al destino che passa proprio dalle parti della zucca dura di Petagna. C’è il soffio dell’imprendibile che soffia nelle vele di una barca a caccia di un nuovo porto a cui chiedere riparo. Un addio troncato poco prima di consumarsi, un ultimo bacio che brucia sul viso come gocce di limone. “Tu resti qui” urla Spalletti ad Andrea, annunciando una educata ma ferma rivolta rispetto ai piani del club già pronto a spedirlo alla Samp. Forse Spalletti ha semplicemente spoilerato il finale della storia: Tu resti a Genova, con la maglia della Doria. Un vero peccato.