Da Zero a Dieci: i terrificanti cori contro ADL, la buca scavata da Higuain, i vigliacchi con la bandiera bianca e le ridicole accuse di Maran

09.04.2018 09:57 di  Arturo Minervini  Twitter:    vedi letture
Da Zero a Dieci: i terrificanti cori contro ADL, la buca scavata da Higuain, i vigliacchi con la bandiera bianca e le ridicole accuse di Maran
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(di Arturo Minervini) - Zero a quella crepa che si è aperta per la prima volta in questa stagione. Il Napoli non segna, Insigne sbaglia tanto, poi arriva il pasticcio che porta al gol di Stepinski. In quel momento bisognava restare uniti, sostenersi l’uno all’altro. Qualcuno sbuffa, altri intonano cori contro De Laurentiis, qualcuno lascia lo stadio o spegne la tv. Smettere di sudare e di lottare quando mancano sette chilometri alla fine di una maratona non rende giustizia alla fatica fatta nei chilometri precedenti. L’unico modo per andare oltre se stessi è fare le cose insieme. Le grandi imprese nascono quando un gruppo di persone si mette in testa una pazzia che poi diventa storia. Ogni mugugno venga rinviato a fine stagione. C’è ancora troppa vita in questo Napoli per smettere di respirare. C’è ancora un pezzo di sogno da vivere per aprire gli occhi.

Uno il cartellino giallo beccato da Depaoli dopo 12’. In un mondo perfetto, al minuto 49’ DA REGOLAMENTO ne sarebbe dovuto arrivare un altro, per la trattenuta in area di rigore su Mertens lanciato verso la porta. Questo, però, non è un mondo perfetto. Anzi, questo è un mondo imperfetto, dove le regole come le carte di un castello che crolla sotto il solito vento. Il solito schifo che passa come vittimismo. Non smetteremo mai, mai, mai di provare a credere che ci venga applicato lo stesso metro per tutti.

Due rigori per domare lo spirito di un Benevento che onora ogni secondo della sua gara. Sudore contro supponenza, sacrificio contro arroganza. È una giornata di festa al Vigorito, i bimbi con le facce colorate, i padri orgogliosi di una squadra mai doma. Poi, la natura imprevedibile regala il colpo di scena. Nell’area dei padroni di casa si apre una gigante voragine, parrebbe di natura aliena. In tribuna il sindaco Mastella avvia la gara di appalto per l’inizio dei lavori, poi si ode un fischio. Dal fondo della buca riemerge Higuain che sembra Tim Robbins dopo la fuga nel finale de “Le ali della libertà”. Un volo che vale un penalty per l’arbitro Pasqua, chiaramente fuori tempo. E fuori luogo. 

Tre minuti di recupero, già sarebbe uno scandalo considerando i cinque cambi, le due reti ed il tempo perso dal Chievo nonché nell’assegnazione del rigore al Napoli. Eppure, Maran trova il coraggio di lamentarsi parlando di un fallo che non esiste. Dopo 180’ di catenaccio tra andata e ritorno, il tecnico clivense dovrebbe fare visita ad uno dei santuari che offre la Campania per aver portato a casa un punto in due gare. Dopo l’AntiCristo, prossimamente al cinema: L’anticalcio. Tratto da una storia tristemente vera. 

Quattro punti che restano quattro. Aggrappati, con la volontà che spinge più del cuore. Aggrappati, come le mani di un bambino al dito di un adulto. Aggrappati, per dimostrare al solito vento che arrendersi non fa parte dei piani di questa squadra. Aggrappati, con l'ultima parte dell'orizzonte che concede ancora un pochino di azzurro. Un pochino che basta a rendere questa domenica magica e speciale. Un pochino che vale tanto, tantissimo per chi coltiva ogni giorno il proprio giardino seminando un sogno che ci scalda più di questo sole nuovamente rovente. Resilienza oltre il limite. Parole scolpite sull’erba, una promessa che resiste nelle mani che si sono strette la scorsa estate. Una stretta forte, salda, forgiata nello spirito di uomini che alla loro parola danno ancora un peso fondamentale. 

Cinque ad una leggerezza che poteva pesare come un macigno. Così come a Sassuolo, Koulibaly è Gregor Samsa che sudato nel suo letto si scopre di natura differente. Metamorfosi che dura un solo secondo, ma che rischia di compromettere una stagione infinita. Proprio da Kafka rubiamo il consiglio per l’indisciplinato Kalidou di queste gare: “E' preferibile una calma, anzi la più calma riflessione, a decisioni disperate.” 

Sei di incoraggiamento a chi è in debito d’ossigeno. Come Pelizzari dopo una lunga immersione, Dries paga il salato conto con il suo fisico. La fiducia manca, la lucidità anche. Quella porta che sembrava enorme fino a qualche settimana fa, ora è diventata un cunicolo stretto che ti toglie quasi il respiro. Confuso e non felice vaga nel campo come Gollum dentro una caverna buia, alla caccia di un ‘Tessssoro’ che resterà una chimera. La soluzione è sempre più semplice del problema: smettere di pensare al gol in maniera ossessiva. Le ossessioni non portano mai a nulla di buono.

Sette reti in campionato, due appena (una su rigore) nelle ultime tredici in campionato. A differenza di molti cronisti, i numeri non sono mai bugiardi e non sono di parte. Raccontano una verità che fotografa le difficoltà di Insigne, un blocco mentale che sembrava essere superato dopo le 18 marcature dello scorso campionato. Fragilità del campione che rivive la paura di un popolo che ti gira le spalle, che rumoreggia ogni volta che stai per calciare verso la porta. Un clima che non aiuta nessuno e che fa male all’unico bene superiore da tutelare: quello del Napoli. L’assist per Milik è la pennellata colorata di orgoglio, il gesto seguente il retaggio di una adolescenza ormai troppo lontana per rappresentare un’attenuante. Male i tifosi con i fischi. Peggio Lorenzo con quel gesto inutile e spocchioso. L’umiltà - scriveva Shakespeare che l’animo umano lo conosceva benino - è la scala di una giovane ambizione. Ma, come abbia raggiunto l'ultimo gradino, volge essa le spalle alla scala e rimira le nubi, spregiando i gradini più bassi ond'essa è ascesa”.

Otto partite ribaltate in stagione dopo lo svantaggio. Significa che dentro hai qualcosa di speciale, una motivazione che si infiamma dentro al petto di tutti quelli che nella vita sono stati in qualche modo emarginati o discriminati. Un urlo che nasce dal basso e che arriva fino al cielo, un sudore che bagna l’erba che diventa spettacolo, come fiori che colorano gli occhi di chi guarda. Questo carattere, questa voglia, questa incapacità di dire ‘Mi arrendo’ è il ritratto più emozionante di questo Napoli destinato a restare per sempre. Il cuore non è mica una lavagna che cancella le cose con una passata di mani. Il cuore tiene tutto lì, magari nasconde, ma non dimentica. MAI.

Nove all’impatto devastante di Arek. Sembra Thor che sbatte a terra il suo enorme martello e fa vibrare la terra, togliendo certezze agli avversari e donandone ai compagni. Con la testa bassa, ma con la mente accesa, prende possesso dell’area di rigore del Chievo che diventa di sua pertinenza esclusiva. Tutto quello che passa in zona è sottoposto al suo controllo, come il francobollo volante appiccicato al cross al bacio di Lorenzo. Ci mette la testa anche nel pallone che Diawara trasforma in leggenda, sprigionando una forza gravitazionale che attrae la difesa del Chievo e libera il compagno a centro area. Una calamita formato gigante per ogni cross, una calamità per la difesa clivense spazzata via dalla sua fisicità come una persona educata all’apertura di un buffet.

Dieci ad un finale choc, che al confronto il finale di ‘Seven' era una cosa scontata. Con questo orgasmo all’ultimo respiro, dei sette peccati capitali c’è sicuramente la lussuria nella vittoria azzurra. Bolgia del piacere immediato, sublimazione di una goduria che si concentra in un secondo che si dilata nel tempo e nello spazio. Ogni respiro, totalmente azzerato, il battito congelato così come il tempo che si ferma. Il San Paolo rinsavito canta senza eccezioni, invocando il miracolo che dall’alto pare vogliano concedere. Una percezione rallentata come quella delle mosche, la sequenza che diventa chiara nella mente. È come vivere moltiplicata all’infinito la stessa scena, un’incontenibile stupore che attenta al cuore. C’è il marchio del ricordo eterno in un quel pallone che accarezza la rete, avvolge ogni senso, turba l’animo fino al profondo. Da lì in poi il VUOTO TOTALE. Solo un urlo al cielo, abbracci stretti, lacrime che scendono sulle guance dei bambini. Da lì in poi una corsa impazzita, come quella di Diawara che si accascia stremato al suolo settanta metri più in là. E noi tutti con lui. Senza fiato, con l’erba a rinfrescare le idee e gli occhi rivolti verso una speranza che resta ancora accesa. Brividi.