Da Zero a Dieci: la nuova frase choc di Cragno, l’ultima follia di Bergomi in TV, il Var che si scansa come Gasp e le domande stupide a Sarri

Da Zero a Dieci: la nuova frase choc di Cragno, l’ultima follia di Bergomi in TV, il Var che si scansa come Gasp e le domande stupide a SarriTuttoNapoli.net
© foto di Daniele Buffa/Image Sport
martedì 27 febbraio 2018, 10:36Zoom
di Arturo Minervini

(di Arturo Minervini) - Zero per la frase che risuona nella testa come un motivetto horror. ‘In questo momento il Milan gioca il miglior calcio d’Italia’ dice Beppe Bergomi a Sky parlando con Gattuso. In quel momento, ogni napoletano all’ascolto si ferma, si blocca. Nella testa quelle parole diventano eco che rimbomba. Come quando suona il citofono, di domenica pomeriggio, quando il tuo concetto di socializzare è pari a quello di un eremita tibetano e tu rispondi terrorizzato. In questo momento così difficile dovremmo stare tutti vicini allo zio Bergomi, che evidentemente mostra logorii della vecchiaia. La chiosa alle parole del geniale Pomata di ‘Febbre da Cavallo’: ‘Questa è la più grande stronzata da quando l’uomo ha inventato il cavallo”. Andiamo dal dottore Beppe!

Uno il piacere che Cragno voleva fare alla Juve. Perché in Italia, se puoi fare una cortesia ai potenti è sempre meglio. Perché in Italia abbassare la testa è un modo per andare avanti. Lo ha fatto anche il portiere del Cagliari, prima della gara e durante, nel chinarsi a raccogliere per cinque volte un pallone che sapeva di vendetta popolare. Pensatelo nella sua cameretta il piccolo Alessio, mentre stringe i pugni e contrae le tempie come fosse Renato Pozzetto nel film ‘Da Grande’, mentre ripete ossessivamente: “Voglio fare un favore alla Juve. Voglio fare un favore alla Juve”. Oggi gli consegniamo un altro mantra tratto dalla filosofia del pensatore Oronzo Canà: “Lei domenica ci ha fatto prendere cinque pappine”. Cambia solo il giorno, ma il concetto resta lo stesso.

Due occhi possono non vedere, ma due occhi che non vedono davanti a venti telecamere sono un segnale che ci terrorizza. Come può Doveri, davanti all’immagine della maglietta di Mertens che per poco non sfonda il suo monitor per quanto allargata, starsene in silenzio? Come può anche il VAR SCANSARSI dinanzi a certi episodi? In pochi secondo il mondo aveva una certezza su quell’episodio, aspettavamo solo che Giacomelli interrompesse il gioco, mimasse l’ormai famigerato gesto del Var ed indicasse il dischetto del rigore. Questo sarebbe accaduto in un mondo perfetto. Col passare dei secondi, invece, il nulla. Tutti zitti, non noi, che davanti a questa vergogna abbiamo voglia di urlare. Non è accettabile che quel rigore non sia stato fischiato. Il Napoli può essere più forte di tutto, ma accettare le ingiustizie è il primo passo verso una morte indegna. 

Tre come un gol che ricorda i disegni nel cielo di uno stormo di uccelli. Il pallone si sposta da una parte all’altra, gli occhi lo seguono come fosse una calamita che cattura l’attenzione. Da una parte all’altra, da un piede all’altro, esecuzione sinfonica senza interruzione. Il Cagliari diventa una piccola macchia rossa e blu sullo spartito, impotente dinanzi alla potenza del suono che si propaga dagli organi azzurri. Si torna indietro, fino a Reina. Sembra placarsi l’impeto della melodia, ma è solo un inganno. L’accelerazione improvvisa, come il raptus di un pianista ispirato. Un crescendo immediato, lo stormo che occupa il terreno di gioco come il sole che insegue l’ombra all’alba. Arriva la stoccata finale di Hamsik che fa tremare la Sardegna. Non è un gol. È un orgasmo che dura 43 secondi.

Quattro in pagella a chi chiede a Sarri della ‘SOFFERENZA’ iniziale. Cos’è la sofferenza? Chi l’ha vista? Concedere due cross è soffrire? In una gara che sarebbe dovuta essere sospesa per manifesta superiorità, parlare di sofferenza è come ricordare ad un pugile che ha massacrato l’avversario di avere un capello fuori posto. Sarri non si scompone, anche perché rispondere sarà pure cortesia, ma qualche volte bisognerebbe interrogarsi anche sulla qualità dei quesiti. Non è vero che non esistono domande stupide.

Cinque come le dita di una mano, meravigliose nella loro diversità. Dita che si aprono come un ventaglio e si avvicinano alla faccia per far nascere una carezza della sera. Quella del Napoli ha cinque marcatori differenti, così lontani tra loro. Ci sta un napoletano, uno slovacco (mezzo napoletano), un belga (mezzo napoletano), uno spagnolo ed un portoghese. La vita non avrebbe mai potuto unirli come ha fatto un campo da calcio. Storie che nascono in varie parti del mondo e poi si ritrovano su un prato verde, esaltano l’organizzazione di una squadra che può dare a tutti una possibilità. Trattato post moderno di un calcio totale, come quello dell’Olanda che ha scritto la storia con la bacheca vuota. Perché le idee sono immortali, più dei pezzi di ferro. Domenica prossima io non ho dubbi su chi votare: sulla scheda elettorale scrivo Maurizio Sarri.

Sei i gol di Insigne in campionato. Una rete che mancava dal 23 dicembre scorso, una rete che gli mancava come la connessione dati quando ti ritrovi sotto casa della tua ragazza ad aspettare i famigerati ‘cinque minuti’. “Giorgio lo batto io?” dice Lorenzo al numero 8 azzurro quando arriva il penalty. La concessione di Jorginho racconta tutto questo Napoli. Uomini al servizio della squadra e dei compagni e mai viceversa. Ora la testa di Insigne è più sgombra. Il cuore di Jorginho ancor più leggero. 

Sette il numero di Josè, cinque quello di Allan. Quantificare il loro lavoro sarebbe impresa titanica, trasferire in sostanza la volontà che riversano su ogni pallone vagante, mentre attaccano lo spazio, quando lottano con l’avversario. Callejon apre le danze con il gol numero dieci in stagione, la sorgente è però quel brasiliano che si rinnova in ogni gara, mostrandosi ancor più dominante rispetto alla precedente. Conosciamo la distanza precisa tra terra e luna, ma non conosceremo mai la grandezza dei polmoni di questi due instancabili guerrieri, sempre al punto di sacrificare se stessi al servizio dell’impresa. Chi non ama Allan e Callejon non ha mai amato in vita sua. MAI.

Otto non alla punizione. Magnifica, sorprendente, perfetta. Otto a chi al minuto 83’ sprinta in diagonale difensiva su Joao Pedro sul Napoli sul 4-0 e le olive già belle fresche nel Martini. Fedele come un Ronin che ha ritrovato il suo vecchio padrone, Mario Rui ha messo a tacere tutti con l’evidenza dei fatti, dei numeri, delle prestazioni. Ha riabbracciato Sarri che gli ha infuso quelle certezze smarrite, levigando la testa dai cattivi pensieri romani. Il Napoli si ritrova un giocatore nuovo, tutto da scoprire. A tratti stupefacente, come quando pennella all’incrocio una punizione come fosse la cosa più semplice del mondo. Già, la semplicità, è quella che stupisce di Mario. Eccezionalmente regolare. 

Nove riserve e due ragazzini per una gita fuori porta. Sapete cosa ci ha fatto innamorare del calcio? Il clamoroso al Cibali che risuonava dalla radio, le imprese epiche di squadre di scappati di casa che portavano a casa uno 0-0 imbarazzante contro la capolista di turno. Il mito del calcio nasce proprio da questa idea, quella per cui niente è impossibile, dove non esiste un risultato scontato. La letteratura calcistica vive di racconti che non possono essere pugnalati da questa pratica inquietante, di dare per perse certe partite. Perché questo aveva fatto Gasperini scegliendo quella formazione indecente per la sfida alla Juve. E non ci raccontate storie sul turnover sempre attuato. Quello non è turnover. Quella è alzare bandiera bianca sul monte, che al confronto Battiato è un guerrafondaio. 

Dieci in fila. Cade la neve sulle teste di Napoli, serve quasi a raffreddare questi caldi pensieri che arrivano dalle notte sarda. Un sogno che ribolle dentro, riscaldato da una striscia vincente senza precedenti nella storia. È una squadra di infedeli, che prova a profanare il grande tempio della Vecchia Signora, custodito da tanti messaggeri che nascondono la divisa, ma che nel taschino portano segni della loro fede. È il pensiero folle di chi vuole finire una lunga corsa ed urlare: “Ho vinto. Vi ho fregati tutti”. Contro una logica che imporrebbe altro. Contro un sistema che vorrebbe altro. Cade la neve, un lenzuolo di bianco che si poggia sulla testa. Vogliamo sentirci ancora un po’ infedeli, come Carlo Verdone in Manuale D’amore. Vogliamo conservare per sempre, l’amore per una squadra che non potrà mai essere cancellato. “C’è la neve nei miei ricordi, c’è sempre la neve. E mi diventa bianco il cervello se non la smetto di ricordare. Tanto qui sotto, nulla è peccato”. Eppure, sentire. Eppure, sognare.