Da Zero a Dieci: lo straziante pianto di Maggio, il terrore delle carte coperte, l'Allegri furioso ed il gesto che svela il futuro di Sarri

21.05.2018 10:47 di  Arturo Minervini  Twitter:    vedi letture
Da Zero a Dieci: lo straziante pianto di Maggio, il terrore delle carte coperte, l'Allegri furioso ed il gesto che svela il futuro di Sarri
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© foto di Daniele Buffa/Image Sport

(di Arturo Minervini)  - Zero minuti come un bacio d’addio mai arrivato a destinazione. Gli occhi che si fanno lucidi, i minuti che diventano sempre meno e quel maledetto tabellone non indica mai il tuo numero. Vorresti planare su quella fascia che è stata per casa tua per dieci anni, poggiandosi leggero sull’erba per raccogliere l’ultimo grande saluto. La scelta di Maurizio Sarri di non far entrare Christian Maggio è insensata, inspiegabile, illogica. Anche sforzandosi, senza giustificazioni. Il calcio è fatto di storie, di uomini, di racconti. La storia del numero ’11’ azzurro meritava un finale differente. Perché esistono gli schemi, le linee difensive, il pressing alto ma senza il cuore il calcio sarebbe già morto, anzi probabilmente non sarebbe mai nato. Vorremmo radunarci nuovamente tutti al San Paolo, con Christian al centro del campo, e ricoprirlo con un applauso lungo un decennio. Non smetteremo mai di applaudirti.

Uno a questa incapacità di godersi una vittoria, a queste facce tronfie che alzano la voce per ricevere complimenti che non arriveranno mai. Il motivo è spiegato nelle modalità che hanno portato alla vittoria, nella pochezza quantitativa/qualitativa/umana dei festeggiamenti. Ci chiediamo sempre se il Napoli avesse potuto fare più di 91, ma la grande verità di questo campionato è un’altra: in un mondo perfetto, o almeno in uno onesto, la Juve non avrebbe mai fatto 95. MAI. Questo non lo si deve dimenticare. In ogni caso le feste della Juve restano la giornata nazionale del sesso virtuale, gente che gode nella propria cameretta mentre la donna è altrove. So gusti...

Due giorni per la verità. Due giorni di attesa, partecipazione, speranza. La storia Sarri-Napoli è ad un bivio, anche se la gestione del tutto avrebbe meritato maggiore rispetto dei tifosi. Sembra essere una partita di poker nella quale i due contendenti non vogliono mostrare le carte, o meglio una puntata di Forum dove si sta discutendo di un divorzio ma nessuna delle parti vuole che gliene sia addebitata la colpa. Per il bene di tutti, per il bene primario del Napoli, ora è tempo di fare chiarezza: nella testa, nel cuore e nel portafogli.

Tre punti per la 28esima volta su 38 gare, un numero che basta a raccontare la cavalcata azzurra in campionato. Vette di bellezza raggiunte che andrebbero tutelate dall’Unesco, livelli di organizzazione che hanno rasentato la perfezione che nemmeno le metropolitane in Giappone. Una sinfonia che ha coinvolto gli interpreti e gli ascoltatori, un nutrimento per l’anima di chi crede che l’ordine sia la forma migliore per contrastare il caos, che toglie certezze e serenità. Questo Napoli ha dato un senso quasi a tutto, spruzzando gocce di Chanel N°5 in un calcio sviliti dalla pochezza di un sistema che ammazza ogni giorno i giusti, per dare spazio ai cinici. 

Quattro a quelli che pensavano che il Napoli avrebbe fatto strada al Crotone. Ma ancora non avete capito nulla della struttura morale di questa squadra? Questo Napoli non ha possibilità di scegliere, non può rinnegare la struttura di calcio che è stata innestata nel suo DNA come parte integrante della propria natura. Come ricordava il ‘Ivan Benassi’ di “RadioFreccia”: “Credo che da te non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx”. Nella sua routine ha trovato tutta la sua forza e quella routine va esercitata come un mantra da ripetere allo specchio ogni giorno.

Cinque a quelli che ci avevano mentito, a chi non ci aveva spiegato bene lo slogan di casa bianconera. FINO ALLA FINE e dobbiamo ammettere che sono stati coerenti: Cagliari, Fiorentina, Lazio, Benevento, Inter, Bologna ed anche nella sfida all’Hellas, con Buffon da espulsione, ma figuriamoci se gli si poteva rovinare la festa. È una squadra che ha avuto trattamenti differenti, dall’inizio FINO ALLA FINE.La riflessione è triste ed amara: viviamo un paese che piega le regole agli uomini. Viviamo in un paese ridicolo. 

Sei a quelli che dalla panchina hanno solo guardato. Fonte di discordia, mai presi troppo in considerazione da Sarri anche quando c’era la possibilità di concedersi qualche rotazione. Le ZERO partite giocate da titolare di Rog sono uno spaccato chiaro della cocciutaggine di Sarri, al di là di quelle che sono le carenze della rosa. Un integralismo che può essere dannoso, una rosa limitata che deve essere ampliata. Come sempre, per ricercare la verità bisogna scavare nelle pieghe delle storie, cercare di capire e non limitarsi a sventolare una bandiera che indichi da quale parte stare. ‘Io sto con Sarri’ o ‘Io sto con De Laurentiis’ sono slogan che non fanno bene alla squadra. L’unico motto accettabile è il ‘Noi stiamo con il Napoli’.

Sette il numero di Josè, a segno con il Crotone per chiudere con 10 reti e 15 assist in campionato. Vogliamo davvero correre il rischio di darlo per scontato uno così? Di pensare che sia facilmente sostituibile? Avesse qualche tatuaggio in più, postasse qualche foto in più sui social probabilmente raccoglierebbe maggiori consensi. Chiude una stagione irreale sul piano fisico con 49 giocate da titolare su 50 complessive (38 su 38 su campionato), cifre che giustificano qualche calo. Per il suo bene, sarebbe meglio iniziare a pensare ad una gestione differente, togliendo quantità per aumentare la qualità complessiva. Quando si muove alle spalle del difensore resta la cosa più spaventosa per ogni difensore: pericoloso come dare la password del vostro Facebook alla vostra donna e sudare più di Fantozzi nella storica rapina alla gioielleria in ‘Scuola di ladri’.

Otto reti in campionato e quota undici assist, con i due cioccolatini serviti contro il Crotone, per Insigne. Vero, sul piano realizzativo è stato fatto un passo indietro, ma è solo una questione di dettagli da limare con il lavoro. Lorenzo resta un fabbricante di calcio come pochi in Italia, visionario di traiettorie e di spazi inaccessibili ai comuni mortali. Quei palloni al bacio sul secondo palo, prima per Arek e poi per Josè, sono un’antologia nel senso letterale del termine: raccolta di fiori. Come un rivoluzionario, con la testa bassa e con apparente scarsa attenzione, ti ferisce quando meno te l’aspetti, quando pensi che sia ormai innocuo. Dovrà ritrovare quella convinzione sotto porta smarrita nella seconda parte della stagione, appena 1 gol nelle ultime 11, ma tra le prime pietre da cui costruire il Napoli del domani c’è sicuramente il Magnifico. Chi ha dubbi su questo, ha dubbi anche sulla supremazia assoluta della Coca Cola in vetro. Ed allora non ci voglio nemmeno parlare…

Nove a quelle zuccate di testa che sono mancate, magari in quei 7 pareggi in campionato che avrebbero scritto un finale differente. Straripante come la voce di Janis Joplin, Milik è un rimpianto in movimento, una certezza che esulta con puntualità disarmante: centro numero 5 in campionato in 438’ (in gol ogni 87’). È una roccia sulla quale vi è scolpita la faccia del prossimo centravanti azzurro, la prepotenza che si fa tecnica, la tecnica che si fa prepotenza nello stesso corpo. Fusione di tanti attaccanti in uno solo: capace di calciare con i due piedi, fenomenale di testa, bravo negli appoggi. Un robot della nuova generazione che ha tutto incluso e fa tutto bene, come quelli che in cucina ti fanno sentire Cracco senza aver mai cucinato nemmeno un uovo sodo. Il 9 del domani ha un nome, un volto, ed una grande voglia di saldare i conti con la sfortuna.

Dieci ad un’annata che è una conquista, un’esplorazione su un pianeta sconosciuto, un trattato sulla capacità di far innamorare ed innamorarsi. C’è un frullatore di emozioni che rischi di perderti mentre osservi un San Paolo in festa, chiudendo gli occhi senti il rumore del mare, con le onde che  assumono quell’andamento regolare tipico della sera, si strusciano sulla sabbia come l’arco che viaggia sulle corde di un violino e l’anima vibra. Questo è stato il Napoli di Sarri, una vibrazione continua di corde che non si possono né toccare né vedere. Alla fine dell’ennesimo inno alla gioia, il comandante arriva sotto alla sua curva e si flette più volte come forma estrema di gratitudine. “Dio mi liberi dalla saggezza che non piange, dalla filosofia che non ride, dall'orgoglio che non s'inchina davanti a un bambino”. Quegli inchini che hanno il sapore di una storia che rischia di interrompersi, il tributo spontaneo di un uomo travolto da una serie di emozioni che fatica a controllare. C’è tutta l’umanità di Maurizio Sarri in questo gesto, questa camminata verso la sua gente che vorrebbe portarlo in trionfo. Anche senza Coppe da alzare, anche senza scudetti da cucire sulle maglie. Maurizio che incarna certi valori, la voglia di rivoluzione che avvolge il cuore dei napoletani, stufi da tempo di subire ingiustizie nel silenzio di tutto. È un inchino che fa rumore, che strappa un sorriso ed una lacrima al tempo steso. È un bambino che si inchina dinanzi a tanti adulti che, come i bambini, non hanno mai smesso di sognare. Cala il sipario, scende una lacrima sull’ultimo applauso. Noi siamo sogni. Noi siamo sogni. NOI SIAMO SOGNI.