Guido Clemente di San Luca a TN - Makkelie come Orsato: il sistema calcio è marcio

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, commenta così l'arbitraggio in Barcellona-Napoli.

17.03.2024 11:45 di  Redazione Tutto Napoli.net  Twitter:    vedi letture
Guido Clemente di San Luca a TN - Makkelie come Orsato: il sistema calcio è marcio

Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, commenta così l'arbitraggio in Barcellona-Napoli.

La direzione arbitrale di Barcellona-Napoli. Abbiamo avuto un altro arbitraggio illegit-timo, clamorosamente, e scandalosamente, se non fosse che ormai l’illegalità è divenuta triste e do-lorosa normalità, cui siamo assuefatti e rassegnati senza speranza. Come l’anno scorso col Milan – prima con il rumeno Kovacs, all’andata, e poi, al ritorno, con il polacco Marciniak –, martedì scorso ci ha pensato l’olandese Makkelie. La ripetitività diventa sistematicità, e questa pare proprio rende-re non infondati i sospetti di malafede, di un disegno preordinato.

Non fatevi trarre in inganno. Non si devono considerare soltanto le decisioni illegittime ecla-tanti: l’omissione del VAR sul rigore non opinabile su Osimhen; quella sulla espulsione diretta per palese vigoria sproporzionata su Lobotka; l’inesistente fallo di Traorè dalla cui punizione nasce il primo gol; il non rilevato fallo su Lindstrom con assegnazione di rimessa laterale al Barcellona sul terzo gol. No. Perché, proprio come Orsato, Makkelie ha assunto un «metro di giudizio» contra le-gem, che gli ha permesso di decidere arbitrariamente sugli interventi in mezzo al campo – protetto da commentatori complici –, fischiando o non fischiando i falli a suo piacimento, senza tener conto del paradigma normativo di riferimento. Che resta uno ed uno solo. A qualsiasi latitudine e longitu-dine. Il Regolamento. E invece ci tocca ascoltare mastodontiche fandonie.

Che in Europa si arbitra così, come in Inghilterra; che il Protocollo VAR è mal digerito, e dunque reso inoperante, disapplicato. Senza doversi riferire all’archetipo regolativo, il team arbitra-le viene reso capace di favorire o sfavorire a seconda dei desiderata. Interessa poco ragionare su chi abbia giocato meglio o peggio (rimando al punto 2). È irrilevante. Tante volte il Napoli, pure in quest’anno sfortunato, ha giocato meglio dell’avversario. Con qualche decisione illegittima a suo favore potrebbe avere 6-7 punti in più. Ma è sbagliato ragionare sperando questo. Il tema è un altro: se il gioco si può svolgere solo a patto che sia regolato, le regole devono esser fatte rispettare.

Il Barcellona è stato favorito dall’arbitro. Punto. Non rileva se abbia o no meritato di passare il turno. Senza la ‘protezione’ di Makkelie non avrebbe vinto. Sono letteralmente disgustosi i com-menti (tecnici e disciplinari). Ci è toccato ascoltare alla radio l’ineffabile ex arbitro, avvocato ed oracolo del sistema, offrire una giustificazione del mancato intervento del VAR sul rigore negato ad Osimhen che è poco definire cervellotica e bizantina. Il sistema ordinamentale del calcio si presenta sempre più compromesso e la stragrande maggioranza di chi lo racconta, anziché denunciarlo, ne diventa connivente senza pudore. Si può sopportare tutto, ma non l’ignoranza. Ho ascoltato voci giornalistiche autorevoli dire un sacco di sciocchezze sulle origini del calcio e sulla inappropriatez-za dello strumento tecnologico per aumentare la garanzia di regolarità della competizione. Come se fossimo ancora al tempo brillantemente descritto dalla serie televisiva The English Game.

È ormai più di un anno che è stata istituita una cattedra universitaria su Giuridicità delle regole del calcio, che prova a studiare seriamente queste cose. Eppure, per i pretoriani, gli sgherri, del sistema è come se non esistesse. Ordinamento del calcio e stampa addetta sono dioscuri uniti nel battersi affinché trionfi il male. Mi ripeto: auspicare il «lasciar correre», giustificare decisioni ille-gittime con argomenti quali il «metro di giudizio» o la «valutazione di campo», significa promuove-re la illegalità. Un fallo c’è o no solo se l’intervento è conforme o meno alla prescrizione normativa. Che nausea suscitano i volti, indignati per il bruttissimo gesto di D’Aversa, ma indifferenti e persi-no compiaciuti alla dichiarazione di Infantino (che subito si congratula con la Juventus per aver ‘conquistato’ l’accesso al Mondiale per club, pur essendo conclamato che ha barato)!

Confondere la battaglia per la legalità con una «sindrome di accerchiamento dei napoletani», tornando a proporre il falso, ritrito (oltre che triste e noioso), ritornello della «piagnoneria della piazza», è un macroscopico errore di prospettiva. E rivela pure un’intrinseca contraddizione: se si aspira alla (peraltro storicamente infondata ed improponibile) omologazione della ‘napolitudine’ al-la cultura Mitteleuropea, non si può negare lo Stato di diritto, che è indefettibile ed indiscusso pre-supposto di questa. «A lavà a cap’ d’o ciuccio se perdon’ acqua, tiemp’ e sapone».

2. Come sta la squadra? Al di là delle nefandezze arbitrali, a Barcellona avremmo potuto fare meglio. Sembra che la squadra stia guarendo, ma ha ancora troppe amnesie. Di nuovo abbiamo avuto alcune occasioni nitide per far gol. Ci dice male. Tuttavia, anche il tenace Calzona persevera in alcuni errori. Non azzecca le sostituzioni. Lindstrom doveva entrare prima, ma al posto di Traorè (ammonito e con la lingua a terra), e non sulla fascia destra (dove s’è capito che non funziona). Do-po, al posto di Politano poteva entrare Raspadori, o forse Ngonge. Nel finale si sarebbe potuto ar-rembare inserendo il Cholito. E poi, è autolesionistico insistere in via ossessiva e ‘fondamentalista’ sulla costruzione dal basso. Ogni tanto darla lunga su Osimhen (prima che finisca in fuorigioco) no? Ci resta il campionato per salvare la stagione. 10 partite da giocare alla morte. Si potrebbe fare. Ma le ‘voci di dentro’, diffuse dal principale quotidiano cittadino, non fanno ben sperare. A Milano ri-proporrei Zielinski, sul quale investirei convintamente per il finale di stagione.

3. I fallimenti di ADL e l’incoerenza senza ritegno di chi salì sul carro dei vincitori. Per finire, mi sembra un grave errore confondere i piani della riflessione sul Presidente. Lo dice uno che nessuno può qualificare come un suo amatore, e che anzi, in tempi non sospetti (oggi è facile, al momento della vittoria molto meno) mai gli ha lesinato critiche, anche feroci. Un conto è biasimare le sue isteriche bravate comportamentali, la sua arrogante presunzione, altro non discernere da que-ste alcuni importanti, e tutt’altro che infondati, contenuti sottostanti.

Su questi ADL sembra battersi meritoriamente, sia pur dimenandosi in maniera scomposta (ciò che ovviamente irrita i maggiorenti del sistema, per farsi detestare dai quali fa di tutto), e ben-ché lo faccia forse inconsapevolmente. I media nazionali, per un verso, restituiscono un menzogne-ro racconto dei fatti di campo: silenti e complici sulla costante conduzione illegittima delle direzioni arbitrali che autorizza il sospetto di gravi illiceità (gli arbitri appaiono, non soltanto scarsi, ma ‘indi-rizzati’ a guidare le partite così da correggere il loro scorrer naturale). Per altro verso, sul piano commerciale, operano in modo da impedire la fruizione universale gratuita delle partite. Vedere il pallone è servizio pubblico. Criminalizzare il ‘pezzotto’ è come negare il dramma di Antigone!

In conclusione, ADL non può tornare ad «incarnare un vessillo di diversità», semplicemente perché mai lo è stato. Solo attraverso il caleidoscopio poteva esser visto quale «esempio di efficien-za e contemporaneità». Soltanto volendo salire sul carro del vincitore si poteva «additarlo a mo’ di esempio per gli amministratori della città». Chi non è aduso a farlo, ha evitato di costruire spiega-zioni fantasmagoriche pur di giustificare la propria lettura della storia (fuori dalla storia). Nell’aver finalmente rivinto lo scudetto non v’era alcuna «carica innovativa e antropologicamente eversiva». La «deriva oleografica» sarà anche «diventata la vera attrazione turistica». Ma è un fatto che ciò ha avvicinato Napoli a Venezia, Firenze, Roma, rivitalizzandone il turismo e l’economia. E dunque, se ne faccia una ragione chi fantasiosamente ritiene che si è vinto perché sono state prese «le distanze dalla retorica cittadina»